Museo Civico Medievale
Via Manzoni, 4
40121 Bologna
tel. 051 2193930 - 2193916
fax 051 232312
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Museo Civico d'Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini
Strada Maggiore, 44
40125 Bologna
tel. 051 236708
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Collezioni Comunali d'Arte
Piazza Maggiore, 6
40121 Bologna
tel. 051 2193998
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Museo del Tessuto e della Tappezzeria "Vittorio Zironi"
Via di Casaglia, 3
40135 Bologna
tel. 051 2194528 - 2193916
fax 051 232312
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In occasione del bicentenario della nascita del pittore bolognese Alessandro Guardassoni (1819-1888), l’Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna, l’Istituzione Bologna Musei | Musei Civici d’Arte Antica, la Fondazione Gualandi a favore dei sordi e la Diocesi di Bologna hanno realizzato un itinerario diffuso nella città metropolitana per valorizzare l’attività dell’artista: dal naturalismo storico-romantico alla svolta purista sino allo sviluppo di un linguaggio devozionale, che fece di lui il più importante pittore ecclesiastico di Bologna nel XIX secolo.
Dopo una prima formazione in città, egli fece esperienze di studio e di viaggio all’estero e dal 1856 iniziò a partecipare con successo non solo alle mostre accademiche, ma anche a quelle di rilevanza internazionale, proponendo quadri di soggetto storico-romantico, biblico-sacro e ispirati alla letteratura, divenendo in particolare famoso per l’episodio del La conversione dell’Innominato tratto da I promessi sposi di Alessandro Manzoni.
Parallelamente, dal 1859 iniziò a studiare ottica e ad avvalersi della stereoscopia per fissare in un’immagine fotografica l’effetto del vero da rendere in pittura, divenendo un importante sperimentatore nella resa degli effetti di luce e tridimensionalità.
La mostra alle Collezioni Comunali d’Arte propone opere di Guardassoni presentate in esposizioni ufficiali e realizzate per commissioni importanti, che narrano l’evoluzione del suo stile, rendendo possibile un confronto con gli altri pittori attivi in quegli anni a Bologna e riproponendone l’atmosfera culturale attraverso 40 dipinti.
Contemporaneamente alla Fondazione Gualandi vengono esposti 60 disegni preparatori e bozzetti per le pitture realizzate nelle chiese bolognesi. Un video – realizzato dagli studenti del Dipartimento di Architettura dell’Università di Bologna-Corso di laurea in design del prodotto industriale – mostra al visitatore la relazione tra le fasi preparatorie e i lavori finiti, in un percorso virtuale all’interno di alcune chiese in cui Guardassoni lavorò.
Come avviene da ormai più di dieci anni, i Musei Civici d’Arte Antica realizzano al Museo Davia Bargellini una mostra dedicata al presepio tradizionale, in collaborazione con il Centro Studi per la Cultura Popolare.
Quest’anno l’esposizione – curata da Mark Gregory D’Apuzzo, Giulio Sommariva, con l’apporto di Fernando e Gioia Lanzi – presenta al pubblico per la prima volta alcuni straordinari pezzi, veri e propri capolavori dell’arte presepiale napoletana del Settecento, provenienti dalla celebre collezione Bordoni, «forse la più ricca e complessa collezione di presepi napoletani che non stia all’ombra del Vesuvio», composta da oltre cento e più personaggi della Napoli dei primi Borbone (duecento e più se si calcolano anche gli animali che fanno da contorno, dai dromedari ai somari, dai cavalli, alle mucche, dalle capre alle galline), che la sapiente mano di esperti scenografi hanno dispiegato dappertutto, «in vasti diorami, proprio come nei musei americani di storia naturale, ove ciò che è finto ha l’obbligo di essere vero» ( Eugenio Riccomini, 1999).
A conferma della qualità estremamente alta, tenendo fede alla quale questa raffinata raccolta è stata assemblata nel corso di oltre cinquant’anni, va detto che alcuni dei pezzi più rappresentativi provengono da note collezioni, come quella del celebre tenore Enrico Caruso.
In realtà, già vent’anni orsono, il Museo Davia Bargellini aveva avuto occasione di ospitare una piccola, ma significativa testimonianza della passione collezionistica dell’avvocato Gianfranco Bordoni, esponendo una decina di figure del presepe napoletano, racchiuse all’interno di uno scarabattolo.
É questa un’occasione eccezionale – vista la delicatezza delle statuette costituite da manichini con la testa in terracotta dipinta, le estremità preferibilmente in legno, l’anima di ferro dolce e il riempimento di stoffa, poi debitamente abbigliate con costumi e accessori dell’epoca – per poter ammirare una trentina di personaggi e animali dell’imponente collezione Bordoni, collocati entro la suggestiva scenografia del chiostro di Santa Chiara a Napoli, realizzata da Alfonso Laino, il più bravo scenografo-allestitore dei presepi a Napoli negli anni settanta/ottanta del secolo scorso.
La tradizionale messa in scena del presepe napoletano prevedeva tre momenti precisi derivati dalla narrazione biblica. Già dai tempi della corte di Carlo III di Borbone, le figurine venivano collocate sullo scoglio, che lo stesso sovrano amava costruire con le sue mani, una struttura di base in sughero sulla quale venivano organizzate scenograficamente le diverse scene, con sapienza teatrale, dalla raffigurazione della Natività o Adorazione dei Pastori, all’Annuncio ai pastori, alla Cantina o Diversorium, ovverossia la scena d’osteria, «sempre in bilico fra i temi della pittura di genere e di natura morta, e la mitografia popolare del “Paese della Cuccagna”» (Riccomini, 1999). A stretto giro non può mancare l’orientalismo fastoso del favoloso corteo dei Magi, accompagnati da mori, figure di levantini o africani, eleganti levrieri, dromedari, cavalli di razza, “georgiani” (di assoluto valore alcuni della collezione Bordoni). Un festoso «proliferare della vita popolare» quotidiana, con un’umanità varia di aristocratici e mendicanti, pastori, arrotini, fabbri, venditori, turchi, servi in livrea, campagnoli, villanelle nei costumi del Regno, a significare la realtà cosmopolita di Napoli, ma anche il suo contraddittorio mondo diviso fra “miseria e nobiltà”, in cui con occhio non sempre bonario, accanto a «prosperose venustà contadine», sono irriverentemente messi a nudo difetti – rughe, gozzi, calvizie – allusivi anche a bassezze morali, in parallelo con la coeva pittura di genere di Gaspare Traversi.
La mostra concede quindi l’opportunità di conoscere più a fondo le caratteristiche della tradizione presepiale napoletana, le sue specificità tecniche, le tipologie dei suoi “figuranti”, le identità dei suoi più abili artefici, come Salvatore Franco, Lorenzo Mosca, Orazio Schettino, Nicola Somma, Angelo Viva e gli animalisti Francesco Gallo, Nicola e Saverio Vassallo.
Il Bologna FC compie 110 anni e l'Istituzione Bologna Musei si mette in prima fila per festeggiare i rossoblù.
Dal 3 ottobre al 6 gennaio Villa delle Rose, il Museo Archeologico e il Museo Medievale ospiteranno la mostra: “Atleti, cavalieri e goleador”.
Villa delle Rose sarà il cuore dell’esposizione che racconta la storia del Bologna calcio, dai cimeli all’esperienza immersiva, grazie alla tecnologia avanzata, che permetterà ai visitatori di vivere i 110 anni di storia rossoblù.
Presso il Museo Medievale ci sarà un percorso dedicato al gioco guerresco in epoca medievale e moderna. Nati per mantenere in allenamento i nobili cavalieri nei periodi di pace e soprattutto per esibire il potere, le giostre e i tornei furono sempre molto apprezzati dalle diverse classi sociali. Lance, armature, elmi, cimieri e sproni accompagneranno il visitatore nel mondo cavalleresco bolognese.
All’interno del Museo Civico Archeologico ci sarà un percorso che abbraccerà cinque tematiche che fanno da filo conduttore tra il vivere lo sport in epoca antica e in epoca moderna: l’ideale atletico, la cura del corpo, le manifestazioni sportive, i simboli che definiscono la vittoria e la dimensione pubblica e privata dell’attività sportiva.
La forza del colore di Jean François Migno, la mostra a cura di Graziano Campanini e Riccardo Betti è ospitata al Museo Civico Medievale.
Le grandi tele di Jean François Migno ci permettono di sfogliare e leggere le pagine private del diario della sua vita. Si tratta di un linguaggio intimo, fatto di colori e di materia, caratterizzato dall’impulso e dall’emotività che è connesso, il più delle volte, alla sfera più profonda dell’Io.
Non ci sono cavalletti all’interno del suo atelier a Parigi, da cui si scorge perfettamente il Centre Georges Pompidou. La sua è una vera e propria “corrida” attorno al dipinto: talvolta a muro, talvolta a terra.
«Avanzo… giro… ripeto. Esito… rifletto». Come fossero i passi di una danza Jean François si muove attorno allo strato sensibile della tela, sua unica spettatrice e testimone di ciò che sta accadendo.
Lo spazio bianco, puro, entra in contatto con concentrazioni e convergenze di macchie di colore che lasciano respiro, alla superfice, solo nella parte più alta e più bassa della tela (serie Passages). Un congestionamento dello spazio, della materia e del colore che avvicina questa serie pittorica ai grandi car crash dello scultore americano John Chmberlain. Ancora una volta quindi la pittura di Migno, prova a fuoriuscire dal supporto tentando di scardinare la “normale” fruizione dell’opera in favore di una cre
Migno opera su grandi formati, egli stesso confessa: «Il rapporto fisico con formati piuttosto grandi, induce un considerevole impegno carnale tanto quanto emotivo ed intellettuale».
Alcuni importanti lavori, come ad esempio Grand rouge, sprigionano una sensuale fisicità del colore dando vita a una sorta di “spiritualità” dell’opera. Si parla di spiritualità non a caso, proprio perché alcune delle opere di Jean François hanno forti richiami alle esperienze del gruppo Gutai. Lo scopo di questo movimento d’avanguardia, nato in Giappone agli inizi degli anni Cinquanta, era quello di «[…] concretizzare la spiritualità della materia». È quello che avviene sulla tela di Migno: una superficie materica ricca di grumi, acrilici e ritagli di carta, origina un’intensa danza del colore.
L’illustratrice Zouchao Zuo – Daisy Zuo – è giunta dalla Cina per scoprire Bologna. E l’ha disegnata selezionando alcuni luoghi, noti o sconosciuti, scegliendo scorci, vedute iconiche e osservando la città nel suo vitale fluire quotidiano.
Il risultato è un albo d’artista in bianco e nero, Bologna a testa in su, che ha lo scopo di raccontare Bologna ai moltissimi turisti cinesi che ogni anno decidono di far visita alla città. Protagonista di una residenza di due settimane, l’autrice ha passeggiato, esplorato, scattato fotografie e realizzato schizzi per cercare di cogliere la città al meglio.
Le illustrazioni originali appositamente realizzate per la pubblicazione, gli schizzi e gli appunti saranno esposti in occasione di Bologna Children’s Book Fair 2019 nelle sale del Museo Davia Bargellini; un luogo molto particolare che ospita all’interno dell’imponente palazzo che affaccia su Strada Maggiore, eretto tra il 1638 e il 1658, la Quadreria Davia Bargellini e una vasta raccolta d’arti applicate. L’allestimento del museo, che ha molto colpito l’artista, vuole ricostruire lo spirito di un appartamento arredato del Settecento bolognese, nel quale accanto a mobili e suppellettili di pregio si dispongono anche oggetti rari, come uno scenografico teatrino per marionette (che compaiono ripetutamente nelle immagini di Daisy Zuo) e l’incantevole riproduzione in miniatura dell’interno di una abitazione privata del XVIII secolo. La città e il museo si intrecciano in maniera visibile (a volte invisibile) fra le pagine di questo Bologna a testa in su.
Per l’occasione le tavole dell’artista cinese dialogheranno con alcuni pezzi della collezione, diventando a loro volta strumento per far scoprire al pubblico cinese, agli ospiti internazionali della Fiera e ai curiosi bolognesi, uno degli spazi più bizzarri e incantevoli della città.
Daisy Zuo, nata nel 1984, è originaria di Hangzhou, città che fa parte del network delle Città Creative UNESCO per l’artigianato e l’arte popolare. Nel 2017 è tra gli artisti selezionati per il Nami Island International Picture Book Illustration Concours nella categoria Purple Island, un concorso dedicato a giovani illustratori organizzato e promosso dalla Corea del Sud. Ha partecipato alla Mostra Illustratori 2018 di Bologna Children’s Book Fair.
Daisy Zuo è stata selezionata da Bologna Città della Musica Unesco e Collegio di Cina, fra le 137 candidature per il progetto, per il suo segno originale e fortemente espressivo, per la fluidità e la mobilità del suo stile, che si sono rivelati perfetti per raccontare la vitalità e le diverse anime della città.
Bologna, Città Creativa della Musica UNESCO dal 2006, oltre alla promozione del settore musicale, sviluppa in collaborazione con la rete delle Città Creative progetti interdisciplinari a livello locale e internazionale. http://cittadellamusica.comune.bologna.it/
L’Associazione Collegio di Cina, fondata nell’ottobre 2005, si ispira alla tradizione dei Collegi Universitari che hanno ospitato gli studenti stranieri che studiavano all’Alma Mater-Università di Bologna fin dalla sua fondazione e ha lo scopo di promuovere lo scambio culturale italo-cinese. http://www.collegiocina.it/it
Progetto a cura di Hamelin
Promosso da: Comune di Bologna, Bologna, Città Creativa della Musica UNESCO, Associazione Collegio di Cina, Istituzione Bologna Musei, Bologna Children’s Book Fair
Nell’ambito della rassegna Ospiti Inattesi, i Musei Civici d’Arte Antica, in collaborazione con il Museo di Belle Arti di Gand, espongono presso il Museo Davia Bargellini un dipinto, il Ritratto di Signora in abito bianco e orecchini di perle di William Hogarth (1697-1764). Per la prima volta in assoluto, Bologna ospita un’opera del celebre artista inglese.
Conosciuto e ammirato per la sua pittura dal realismo narrativo, sottilmente descrittivo e tagliente, dai contenuti moralizzanti e satirici, William Hogarth assurse al rango di pittore della Corte inglese solo negli ultimi anni della sua vita. Tradotti a stampa in copiose tirature, i suoi dipinti criticano eventi politici, descrivono e denunciano abitudini sociali e vizi della società inglese del tempo. Sino a circa la metà del XIX secolo, una sorta di Hogarthomania contrassegnò il grande successo riscosso dall’opera del pittore, per molti versi rivoluzionaria. Rinomato ritrattista, Hogarth si dedicò inizialmente a un pubblico prevalentemente aristocratico, ma dal 1740 circa estendeva il suo interesse verso una clientela appartenente all’emergente ricca borghesia commerciale, per la quale forgiava un nuovo lessico della ritrattistica inglese dell’epoca.
Nella tela qui presentata, realizzata attorno al 1740, Hogarth raffigura la donna in un paesaggio architettonico caratterizzato da un’elegante balaustra classicheggiante. La posa e la resa fisionomica, più intime e naturali rispetto ai ritratti d’apparato dell’aristocrazia del tempo, alludono alla condizione semplice e nel contempo di affluente benessere della giovane signora borghese, abbigliata d’un lussuoso vestito di seta bianca con riflessi argentei. Nell’esecuzione, il tocco delicato e spontaneo, ricco di materia, è caratteristico della sua produzione.
Piuttosto rari, i ritratti di William Hogarth sono oggi per lo più raccolti in musei britannici o americani; un solo ritratto è conservato al Museo del Louvre e uno all’Alte Pinakothek di Monaco di Baviera. Pochi altri musei europei possiedono suoi ritratti e tra questi il Museo di Belle Arti di Gand, dove il Ritratto di Signora pervenne nel 1911, come dono degli Amici del Museo, la potente associazione filantropica che determinò la qualità e la varietà delle collezioni d’arte della città fiamminga. Ente indipendente, l’Associazione fu creata nel 1897, a un secolo dalla fondazione del Museo; il suo scopo principale era appunto quello di arricchire le collezioni cittadine con lavori realizzati da artisti scomparsi da almeno cinquant’anni. Non solo impegnati nell’acquisizione di opere sul mercato internazionale, verso la fine del XIX secolo, gli Amici si occuparono anche della creazione di una nuova, straordinaria sede per ospitare le raccolte municipali. Risultato del loro generoso impegno è l’attuale sede del Museo, costruita nel Parco della Cittadella, appena fuori dal centro antico di Gand. Progettista dell’edificio fu Charles Van Rysselberghe (1850-1920), illustre architetto nativo della città e fratello del grande pittore belga Théo Van Rysselberghe (1862-1926). L’architetto completò il Museo in due fasi, nel 1902 e nel 1913, in occasione dell’Esposizione Universale.
In quegli anni, a ridosso della Prima Guerra Mondiale, gli Amici del Museo riuscivano a raccogliere un’impressionante serie d’opere d’arte comprendente sia dipinti sacri e mitologici, sia ritratti, o scene d’interni e nature morte. Seguendo le mode del collezionismo del tempo, gli Amici si concentrarono sull’acquisto di lavori eseguiti dal XV al XVIII secolo, dal Rinascimento al Neoclassico. In una di quelle fortunate campagne d’acquisti riuscirono ad assicurarsi il bello e raro Ritratto di Signora di William Hogarth. Uno spiccato gusto per la pittura francese dell’Ottocento, garantì agli Amici acquisizioni d’eccezione, come il Ritratto di cleptomane di Théodor Géricault (1791-1824).
L’esposizione presenta al pubblico una parte significativa delle collezioni del Museo Indiano cittadino, inaugurato nel palazzo dell'Archiginnasio nel 1907, grazie alla compartecipazione delle autorità comunali e universitarie, e chiuso nel 1935, in seguito alla morte del suo fondatore, Francesco Lorenzo Pullè. Il nome del Museo lascia immaginare la presenza di raccolte unicamente legate al panorama artistico e culturale dell'India, ma in realtà le collezioni si componevano di materiali provenienti da India, Cina e Giappone, oggi conservati presso il Museo Civico Medievale e il Museo di Palazzo Poggi, che collabora all'iniziativa con alcuni prestiti. Particolare rilievo sarà dato alla presenza di statue del pantheon buddhista himalayano e cinese, così come alla ricchissima collezione fotografica, che risulta essere una delle più cospicue e dettagliate raccolte di riproduzioni riferite all'arte del Gandhara presente in Europa e, con tutta probabilità, nel mondo, superando per importanza analoghe collezioni depositate presso il British Museum e il Victoria & Albert Museum.
L'esposizione avrà quindi l'obiettivo di presentare il ricco patrimonio di materiali di matrice buddhista disponibili, compresi alcuni importanti oggetti recentemente restaurati, senza dimenticare di considerare le espressioni artistiche della cultura hindu propria dell'India.
Il riallestimento di una parte delle Collezioni Comunali d’Arte, necessaria per consentire lavori alle coperture di Palazzo d’Accursio, è stata trasformata in un’occasione per accostare diversamente le opere del museo e per farle dialogare in un percorso tematico. Attraverso i soggetti cari alla cultura figurativa dei secoli passati, si racconta il cambiamento dal XIII al XVIII secolo dell’uso della figura umana nell’arte occidentale, per narrare sia l’essenza del divino, sia la vita e i sentimenti quotidiani. Nell’esposizione si alternano le sale dedicate ai due aspetti, mettendo in mostra la ricca collezione di sculture e di dipinti medievali, le preziose tavole di Francesco Francia, Amico Aspertini e Luca Signorelli, le tele di Prospero Fontana, Ludovico Carracci, Guido Cagnacci, Donato Creti, Gaetano Gandolfi, Pelagio Palagi.
Il Medioevo ricorre alla rappresentazione del corpo per dare un’identità alla dimensione religiosa nelle sue differenti manifestazioni (Padre Eterno, Cristo, la Vergine, i santi), mentre nel Rinascimento il corpo rappresentato in modo naturalistico diviene fondamentale per dare un volto alla santità e facilitare la divulgazione della dottrina cattolica.
Frequentemente nel Medioevo e nel Rinascimento le immagini sacre sono accompagnate da donatori, devoti e facoltosi personaggi che finanziavano l’opera nella speranza che ciò valesse come intercessione per l’aldilà. Ma il sentimento religioso era coltivato anche in ambito domestico, come mostrano trittici portatili e piccole tavole devozionali. Nei secoli cambia anche il ruolo dei santi: nel Medioevo sono venerati e quindi rappresentati soprattutto i martiri delle origini del cristianesimo; nel Rinascimento e nelle età successive si preferiscono nuovi santi, collocati in scene alla presenza della divinità (per esempio nella Sacra Famiglia o ai piedi del Crocifisso) o in concentrate preghiere, che dovevano essere di forte esempio per la pratica dei fedeli.
Parallelamente si affermano le narrazioni delle passioni degli uomini, che si riconoscono spesso nelle storie degli eroi antichi o nelle allegorie di vizi e virtù. Il Cinquecento in particolare predilige complesse allegorie e metafore, sia letterarie che visive, in cui non di rado un soggetto in apparenza facilmente riconoscibile allude in realtà a tematiche ben più sottili. Pertanto talvolta un tratto misterioso o un emblema curioso circondano i volti di un’aura particolare, facendo diventare il ritratto un genere molto apprezzato anche per la capacità degli artisti di descrivere l’intensità psicologica del soggetto, la sua condizione sociale.
Alcune tematiche toccavano più da vicino l’anima dei fedeli: tutti gli episodi della vita della Vergine e di Cristo, dall’Annunciazione al compimento della Passione. Pur essendo presenti quegli elementi che definiscono la storia, le differenti ambientazioni e le varianti iconografiche ci trasmettono il pensiero di un’epoca. Il tema della Deposizione, così popolare nel XVI secolo, è ben documentato in questa sala, grazie anche alla possibilità straordinaria di ricostruire in parte un capolavoro perduto di Luca Signorelli, la pala di Matelica del 1504, riaccostando due frammenti ad essa appartenuti: la Testa di donna piangente, delle Collezioni Comunali d’Arte, e quella del Cristo morto, data in deposito al museo da Banca UniCredit.
I ritratti del Sei e del Settecento di nobili e ricchi borghesi dialogano nella sala 19 con i volti di uomini e donne cari a Pelagio Palagi, che li aveva raffigurati in posa, ma spesso soffermandosi solo sullo studio dell’espressione dei loro volti. La pittura dell’eclettico artista riporta anche l’attenzione del visitatore sui temi mitologici e sull’importanza educativa che ebbero nella civiltà della fine del Settecento e dell’Ottocento, quale veicolo di ammaestramento morale. Dei ed eroi dell’antica Grecia o gli epici personaggi della storia romana (sala 20) non erano più i protagonisti di leziosi quadretti per decorare salotti e boudoirs, ma figure emblematiche le cui gesta e il cui coraggio doveva essere d’esempio in un presente popolato da nuovi ideali.
La mostra si conclude nella monumentale Sala Urbana, dando voce ad entrambi i filoni del racconto: il visitatore può scegliere se concludere ammirando prima le opere che più parlano all’anima poi quelle che stimolano principalmente i sensi, o viceversa. L’anima è avvinta dall’osservazione ravvicinata di straordinari Crocifissi scolpiti e dipinti, che tra XIII e XV secolo erano appesi in chiese e cappelle a definire il confine tra lo spazio del clero e lo spazio dei fedeli. I sensi sono conquistati dalle forme perfette ed appena conturbanti delle divinità seminude - allusione ai saperi e alle conoscenze degli uomini - dipinte da Donato Creti, avvolte in stoffe e luci dove i colori pastosi e intensi cominciano cautamente a raccontare il turbamento dell’età moderna.
COMUNE DI BOLOGNA
Settore Musei Civici di Bologna
via Don Minzoni 14
40121 Bologna