Musei Civici d'Arte Antica

Museo Civico Medievale
Via Manzoni, 4
40121 Bologna
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Museo Civico d'Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini
Strada Maggiore, 44
40125 Bologna
tel. 051 236708
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Collezioni Comunali d'Arte
Piazza Maggiore, 6
40121 Bologna
tel. 051 2193998
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Museo del Tessuto e della Tappezzeria "Vittorio Zironi"
Via di Casaglia, 3
40135 Bologna
tel. 051 2194528 - 2193916
fax 051 232312
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  • Arca di Carlo Riccardo e Roberto da Saliceto
  • Bonifacio VIII

News / 30 maggio 1920 - 30 maggio 2020. Il Museo Davia Bargellini compie 100 anni

Bologna, 28 maggio 2020 – Con l’intatto fascino di scrigno d’arte tra i più preziosi che la città di Bologna possa vantare, sabato 30 maggio 2020 il Museo Civico d’Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini raggiunge il traguardo del primo secolo di storia.

Ritornare alle origini della fondazione di questo luogo, incastonato nel seicentesco palazzo appartenuto alla celebre famiglia senatoria Bargellini che con il suo profilo monumentale scolpisce l’incrocio tra Piazza Aldrovandi e Strada Maggiore nel cuore del centro cittadino, significa ripercorrere un tracciato museografico lineare, che nel corso di cento anni non ha conosciuto significativi mutamenti di intenzioni dalla volontà del suo demiurgo, l’archivista e museologo Francesco Malaguzzi Valeri (Reggio Emilia, 1867 - Bologna, 1928). Ancora oggi, infatti, il visitatore che si aggiri per le sale espositive può fruire in gran parte dell’allestimento primigenio che l’ideatore aveva impresso ai due distinti nuclei patrimoniali che compongono il museo – la raccolta d’arti applicate e la celebre Quadreria Davia Bargellini – con l’illusione di visitare un sontuoso appartamento arredato del Settecento bolognese.

Studioso votato alla ricostruzione storica di opere e monumenti, impegnato nella salvaguardia e nella tutela del patrimonio artistico come funzionario di musei e soprintendenze, Malaguzzi Valeri fu tra i primi, nel panorama italiano tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, ad avvertire il profondo nesso tra storia della cultura e storia dell’arte. Nel 1916 inizia a elaborare l’idea di istituire un “museo a sé delle arti decorative”, il primo con tale connotazione a Bologna, sull’esempio delle raccolte museali di arti industriali o arti applicate sorte in Europa nei decenni precedenti, come il Kensington Museum di Londra (1851), l’Österreichisches Museum für Kunst und Industrie di Vienna (1864) e, in Italia, il Museo Artistico Municipale Industriale di Milano (1878).

Nei primi due anni del suo soggiorno a Bologna, iniziato nel 1914 con la nomina a direttore della Regia Pinacoteca di Bologna e soprintendente “sulle Gallerie, i Musei Medievali e moderni e gli oggetti d’arte di Bologna e Romagna”, egli ha già dato manifestazione di un sollecito attivismo che lo porta ad approfondire la conoscenza degli ambienti cittadini e del collezionismo locale. La sua predilezione va alle espressioni del “meraviglioso periodo barocco bolognese” degli interni e degli arredi che arricchiscono gli appartamenti delle famiglie senatorie, cui attribuisce ineguagliabile superiorità per originalità e freschezza, tanto da suggerirgli che il costituendo piccolo museo potrebbe chiamarsi “dell’arte barocca bolognese”.

È in questo periodo che, resosi conto dell’esistenza in città di numerose raccolte private che documentavano la fiorente tradizione locale nella produzione di arredi e suppellettili, egli concepisce la necessità di un intervento di riordino, in ottemperanza al Regio decreto 30 gennaio 1913, n. 363 che consentiva l’esproprio di beni non adeguatamente conservati dai proprietari, sia privati che pubblici, assicurandone la tutela e la valorizzazione attraverso una corretta custodia all’interno di un’idonea sede museale.

Fin da subito l’intento del fondatore si rivolge verso la raccolta in unico contenitore di prodotti che si sono salvati da continue dispersioni. Prende così avvio un’intensa attività di ricerca che lo porta a scegliere e raccogliere in prima persona gli oggetti di alta qualità da esporre in un nuovo progetto museografico fruibile almeno da un pubblico di conoscitori d’arte.

Nella fase di elaborazione del progetto, Malaguzzi Valeri è guidato da un principio metodologico che identifica i musei di arti decorative come luoghi deputati all’apprendimento del gusto e delle tecniche artigianali e artistiche, utili soprattutto per gli artisti decoratori, i maestri artigiani e gli allievi delle scuole professionali che lamentano scarsità di modelli e repertori d’invenzione a cui ispirarsi. Spazi quindi di raccolta delle testimonianze prodotte in questo settore lungo l’arco della storia, da ordinare senza tuttavia dover ottemperare al rigore esaustivo di un allestimento cronologico o per tipologia.

L’enunciato del valore prioritario conferito alla vocazione pedagogica del museo, di cui lo studioso si fa interprete anche attraverso interventi sulla stampa, trova un sostegno decisivo nell’Amministrazione Comunale guidata dal sindaco socialista Francesco Zanardi, che ne coglie la potenzialità come luogo in cui svolgere un importante programma di eduzione e istruzione rivolto a tutti i cittadini, e in particolare alle classi più indigenti. Il progetto museografico ottiene così sovvenzioni in denaro e il deposito di beni di proprietà municipale, tra cui le pregevoli raccolte di oggetti provenienti dalle eredità Palagi (1861), Sieri Pepoli (1910), Verzaglia Rusconi (1919), giacenti nei magazzini comunali, cui si vanno presto a integrare donazioni spontanee di artigiani e antiquari.

Pur riconoscendo la dotazione di un buon numero di prodotti del fastoso periodo barocco, l’idea finale abbraccia un più ampio arco storico, dal XVI al XVIII secolo, forse per offrire un panorama di modelli più vario e articolato e per meglio incontrare le esigenze dei destinatari, professionisti e clienti legati al mondo dell’artigianato.

Il complesso di materiali che egli riesce ad aggregare per rappresentare l’arredo delle case della ricca borghesia e della nobiltà bolognese di un tempo - dal mobilio ai metalli, dai vetri alle ceramiche, dai tessuti ai legni lavorati, dai cuoi alle terrecotte - confluisce all’interno di quattro sale del Civico Museo d’Arte Industriale che viene inaugurato il 30 maggio 1920 al secondo piano di Palazzo Davia Bargellini, oggi come allora proprietà dell’omonima Opera Pia. Avverrà nel 1924 il definitivo trasferimento in otto sale situate al piano terreno dell’edificio, dove oltre alla raccolta d’applicata sono accolti all’interno di un unico allestimento rievocativo “d’ambiente” i dipinti della prestigiosa Quadreria Davia Bargellini, in quella peculiare configurazione dei due nuclei patrimoniali originari fusi senza soluzione di continuità che, ancora oggi, contraddistingue il museo.

La raccolta eterogenea di materiale si schiude allo sguardo dello spettatore come un’unica, vastissima, antologia di arti decorative nelle cui pagine sono rappresentati ferri battuti; rami; bronzi ornamentali; cuoi impressi; chiavi; finimenti; maniglie per mobili; significative raccolte di vetri ceramiche; porcellane delle più importanti manifatture europee (Meissen, Ludwigsburg, Frankenthal, Hochst); un nucleo di cere di altissima qualità; campionari di carta da parati e da libri; stoffe e ricami; ventagli; argenti; ritratti in miniatura; tabacchiere; orologi smaltati; chiavette e quadranti a smalto di orologi dipinti a figurette (secoli XVIII-XIX); una serie di modellini per mobili e sedie in miniatura (secoli XVIII-XIX). Ai nuclei appena citati, si può aggiungere un’ingente raccolta di preziose cornici intagliate e dorate (XVI-XIX secolo), molte ancora nell’assetto d’origine, con i corrispettivi dipinti.

A proposito della statuaria in miniatura da presepe dei secoli XVIII-XIX, osserva Mark Gregory D’Apuzzo, conservatore del museo: “Se il repertorio di oggetti raccolti dal Direttore del nascente Museo d’Arte Industriale deve far rivivere un mondo scomparso, è auspicabile che ottenga questo intento riproducendolo «soprattutto negli aspetti più piacevoli e immediati […], ricreando ambienti in grado di trasmettere «l’illusione della casa abitata»; la «vecchia Bologna» deve essere rievocata anche attraverso l’esposizione di oggetti della vita quotidiana, secondo una prospettiva storiografica che intende restituire il vissuto concreto dei tempi passati”.

Se lo sviluppo di consumi culturali di prossimità viene da molti previsto come uno degli effetti a lungo termine più rilevanti della pandemia COVID-19, le sedi dell’Istituzione Bologna Musei di nuovo aperte al pubblico offrono la possibilità di viaggiare alla scoperta di un ricchissimo patrimonio storico e artistico a distanza ravvicinata che spesso, proprio per questo motivo, viene dato per scontato.

Chilometri zero e possibilità immaginative infinite: quale invito migliore ai cittadini bolognesi per iniziare andando a conoscere o riscoprire le meraviglie del Museo Davia Bargellini in occasione dei suoi primi 100 anni di vita?