Museo Civico Medievale
Via Manzoni, 4
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Museo Civico d'Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini
Strada Maggiore, 44
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Collezioni Comunali d'Arte
Piazza Maggiore, 6
40121 Bologna
tel. 051 2193998
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Museo del Tessuto e della Tappezzeria "Vittorio Zironi"
Via di Casaglia, 3
40135 Bologna
tel. 051 2194528 - 2193916
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La mostra - organizzata dal Dipartimento di Storia Culture e Civiltà in collaborazione con l’Università di Salonicco, La British School at Athens e l'Associazione Culturale Italo Britannica di Bologna - propone uno sguardo su Salonicco tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900, con le inconfondibili prospettive su mura, chiese, mosaici, arredi marmorei bizantini.
Nella mostra, curata da Isabella Baldini, sono esposte fotografie e illustrazioni di Salonicco eseguite dagli architetti inglesi Robert Weir Schultz e Sidney Howard Barnsley, che visitarono la città nel 1888 e nel 1890 per motivi di studio, influenzati dal celebre movimento artistico Arts and Crafts. Agli inizi del XX secolo il loro lavoro fu continuato dagli allievi inglesi Walter S. George e William Harvey, che, grazie alla collaborazione con le autorità turche e ai finanziamenti del “Byzantine Research and Publication Fund”, poterono arricchire notevolmente la documentazione già raccolta: l’insieme del materiale costituisce una sezione importante nell’archivio della British School at Athens, per la prima volta mostrata al pubblico italiano. Il percorso espositivo si compone di un itinerario attraverso i principali monumenti bizantini di Salonicco: l’arco di Galerio, la Rotonda, le chiese della Acheiropoietos, di S. Demetrio e di Santa Sofia. Alle immagini fotografiche si accompagnano alcuni oggetti rari - bizantini e ottomani - delle collezioni del Museo Civico Medievale di Bologna: avori, icone e manufatti in metallo.
La mostra propone un viaggio all’interno della città prima dell’incendio del 1917, che ne modificò profondamente l’immagine, offrendo anche uno spunto di riflessione sul contesto culturale che portò i giovani intellettuali britannici del periodo a farne una tappa importante del proprio itinerario di formazione. L’instabilità politica nei Balcani e in Turchia limitò le ricerche degli architetti inglesi, e tutte le attività furono sospese con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale: l’eredità del lavoro svolto, tuttavia, non andò perduta. L’archivio della British School at Athens documenta, infatti, un crescente interesse per l’architettura bizantina, il progresso delle tecniche della metodologia archeologica e nella registrazione dei reperti; esso abbraccia il lavoro di tre generazioni di studiosi, il cui epistolario attesta un costante impegno nel preservare i monumenti di Salonicco, turbata negli stessi decenni da profondi cambiamenti politici e sociali. In un contesto molto diverso, la Grecia di oggi continua a costituire, per i giovani, un punto di riferimento culturale nel processo di acquisizione di conoscenze e competenze fondamentali in campo archeologico e storico-artistico: sulla base di questa consapevolezza, nella mostra viene ricordata l’attività delle missioni archeologiche a Creta e a Kos dell’Università di Bologna, impegnata anche nell’attuazione di scambi didattici con gli atenei greci nell’ambito del programma Erasmus.
Il Museo Davia Bargellini ospita al suo interno la prestigiosa donazione di una raccolta di 65 targhe devozionali prodotte in Emilia e in Romagna, collezionate con passione da Vittorio Concato nel corso di alcuni decenni.
Questi oggetti erano un tempo molto comuni e trovavano diffusione sia nei centri abitati che nelle campagne, collocati in nicchie scavate nei muri delle case e delle stalle o alla sommità di pilastrini posti agli incroci delle strade. Solitamente sistemate all’esterno, le targhe erano realizzate in terracotta dipinta, spesso maiolicata, ed in esse si raffiguravano i santi maggiormente oggetto della devozione popolare e le numerose immagini della Vergine col Bambino, venerate nei principali santuari della regione.
Con passione e competenza il collezionista ha costruito negli anni la raccolta in modo che vi fossero rappresentate le immagini sacre maggiormente rappresentative per il culto, non tralasciando però di selezionare i pezzi più antichi o di migliore fattura. Pertanto la collezione offre una importante campionatura della produzione ceramica delle manifatture di Carpi, Sassuolo, Bologna, Imola, Faenza, dalla fine del XVI alla fine del XIX secolo.
La passione di Vittorio Concato per il Museo Davia Bargellini ha guidato la sua decisione di lasciare, alla morte, l’intera collezione al museo, in modo da integrare la piccola raccolta di antiche targhe devozionali già lì conservate e per perpetrare la memoria di una produzione artigianale, vivificata nel passato dal valore religioso e simbolico che le era attribuita da una consuetudine devozionale quotidiana.
Grazie a Patrizia Agostini Concato e a Giovanni Cristini, esperto conoscitore di ceramiche, è stato possibile mettere a dsposizione del pubblico questa importante raccolta, che rimarrà permanentemente esposta nelle sale del Museo Davia Bargellini.
La mostra è dedicata alla collezione di cappelli conservati nella Sezione tessile del Museo Davia Bargellini. Vengono esposti trenta copricapi da uomo, donna e bambino (databili tra gli anni ’20 e ’80 del Novecento), attraverso i quali raccontare l’evoluzione di un oggetto per secoli considerato indispensabile nell’abbigliamento ed il cui uso è andato ridimensionandosi solo nel corso degli ultimi decenni. Del resto la rinnovata attenzione della moda per un accessorio versatile come il cappello è testimoniata non solo da quanto si è visto nelle recenti sfilate in passerella, ma anche dalle numerose esposizioni che si sono susseguite negli ultimi mesi.
La fantasia delle fogge e la qualità artigianale dell’esecuzione di questi straordinari accessori esposti in museo evidenziano l’alto livello raggiunto dalle modisterie bolognesi, in grado di seguire le novità proposte nelle città che per tutto il Novecento condizionarono la moda: Parigi, Londra, Roma e Milano. In mostra i cappelli sono esposti accanto ad abiti di sartoria, scelti per rappresentare al meglio il gusto e le linee di ogni decennio. Tutti i materiali esposti appartengono al Museo Davia Bargellini, dove sono confluiti negli ultimi quattro anni, grazie alle generose donazioni pervenute da sartorie bolognesi e da privati. Il percorso espositivo è arricchito dalla presenza di un raffinato apparato didattico dedicato alla storia del cappello nel Novecento, interamente curato dalle allieve della scuola per modellisti e stilisti Secoli Next Fashion School di Bologna; narrazione e immagini si intrecciano, così da ricreare il contesto originario degli oggetti esposti. Si rinnova quindi per il terzo anno il sodalizio tra il Museo Davia Bargellini e questo importante istituto di formazione, che ha saputo comprendere e trasmettere agli allievi la necessità di confrontarsi con il passato per poter operare con successo nelle professioni creative del presente.
I cappelli vengono esposti in alcune delle sale fittamente arredate del Museo Davia Bargellini, avvalendosi dell’originale allestimento del giovane scenografo Federico Ghidelli. Durante il periodo di apertura della mostra si terranno visite guidate, spettacoli e sfilate di abiti e accessori di collezioni private.
Nell’ambito delle iniziative legate al III Centenario della fondazione dell’Istituto delle Scienze, in collaborazione con il Museo di Palazzo Poggi, il Museo Civico Medievale organizza la mostra “Invincibili” Ottomani. Armi ed insegne turche nelle raccolte del Museo Civico Medievale.
La mostra espone le “armi turchesche” provenienti dalla raccolta del generale Luigi Ferdinando Marsili, confluite nei fondi del Museo.
Curata da Mark Gregory D’Apuzzo e da Massimo Medica, l’esposizione offrirà l’occasione per visionare anche importanti pezzi sconosciuti al pubblico, poiché abitualmente conservati nei depositi.
Personaggio fondamentale per le vicende culturali della Bologna settecentesca, il generale Marsili diviene celebre non solo per le strategie adottate servendo l’Impero Asburgico, che lo conducono a successi diplomatici, ma anche per il lungimirante progetto di fondare l’Istituto delle Scienze, rilanciando il prestigio della città in un orizzonte europeo.
È il riflesso della sua moderna concezione degli studi la “Stanza delle Armi” che fa allestire all’interno dell’Istituto, come efficace mezzo di apprendimento, fra teoria e sperimentazione, delle tattiche e delle tecnologie che rendono l’“arte di fare la guerra” una vera scienza: fornita di svariati tipi di strumentazione bellica, raccolta nel corso dei lunghi anni trascorsi in territorio ottomano fra prigionia e campagne militari, la “Stanza” era soprattutto dotata di numerose “armi turchesche”. Sono proprio queste ultime ad aver attratto in special modo l’interesse del generale, che confessa di essere stato affascinato fin dagli «anni più teneri» dalla lettura delle «Storie della Nazione Turca, ... descritta per invincibile».
Una fama d’invincibilità che il generale-scienziato sembra voler ridimensionare anche attraverso lo studio e la classificazione delle armi in adozione all’esercito turco, dalle denominazioni spesso “esotiche”, che illustrerà negli usi specifici all’interno del suo celebre trattato, lo Stato militare dell’Imperio Ottomanno, edito postumo (1732).
In mostra si potranno ammirare, fra le armi da taglio, le Kilij, cioè le scimitarre finemente decorate, tuttora munite dei loro foderi, e gli hangiar, cioè i pugnali indossati soprattutto dai «bizzarri Jenizeri…a lato sinistro dentro la sciarpa», come scrive Marsili.
Si potrà, inoltre, vedere il carcasso per le freccie (terkesh), prezioso per le finiture, abbinato al carcasso per l’arco (kirban).
Ed ancora, saranno esposti i moschetti, tüfenk, lunghi e pesanti, poco maneggevoli, anche se adoperati con grande abilità dai turchi, secondo la testimonianza di Marsili, che afferma di averli visti portare soprattutto dai «Jenizeri d’Egitto», che con essi sanno «tirare a segno molto aggiustamente, facendo un moto addietro col pie destro per frastornare la botta della ripercussion del Fucile».
Sempre fra le armi da fuoco, saranno visibili numerosi esemplari di pistole, con la cassa variamente decorata in «Avorio, Madriperla e Corallo».
Infine, una particolare menzione meritano le tre tug esposte in mostra: si tratta di variopinte insegne militari terminanti in un pomo di rame dorato e ornate con crine di cavallo, utilizzate dai turchi non solo per segnalare le diverse divisioni dell’esercito, ma anche per «atterrire in tante forme i Nemici, ed assicurare i Sudditi di aver forze maggiore che non [h]anno…» (Marsili).
Proprio queste insegne ricorreranno frequentemente nell’iconografia celebrativa dedicata al generale, divenendo una sorta di specifici attributi “marsiliani”.
'Istituzione Bologna Musei | Museo Civico Medievale, in collaborazione con la Basilica di San Petronio, dedica ad uno dei maggiori protagonisti della pittura tardogotica in Italia, Giovanni di Pietro Falloppi, meglio noto come Giovanni da Modena (circa 1375-1456), la mostra “Giovanni da Modena. Un pittore all'ombra di San Petronio”, curata da Daniele Benati e Massimo Medica.
L'esposizione, prima monografica dedicata a questo artista, modenese di nascita, ma bolognese di adozione, si pone a ideale chiusura del percorso sulla pittura bolognese del Tre-Quattrocento iniziato dal Museo Civico Medievale con le mostre dedicate a Vitale da Bologna, a Simone dei Crocifissi e a Jacopo di Paolo.
La mostra è articolata in due sedi, il Museo Civico Medievale e la Basilica di San Petronio, ciascuna accessibile con proprio biglietto.
L'esposizione presso il Museo Civico Medievale mette a confronto oltre venti opere del pittore provenienti da musei e collezioni private - dipinti su tavola come “San Giacomo”, “San Pietro”, “San Francesco”, “San Nicola da Tolentino” (Bologna, Compagnia dei Lombardi), “Madonna col Bambino” (Modena, Museo Civico d'Arte) e “Madonna col Bambino” (Ferrara, Pinacoteca Nazionale), affreschi come la “Madonna col Bambino e due angeli” (Carpi, chiesa di San Francesco), “La Vergine con il Bambino” (Bologna, chiesa di Santa Maria dei Servi) e miniature - tentando di ricostruirne il lungo periodo di attività, avviato all'inizio del XV secolo, come rivelano le due miniature all'interno degli “Statuti della Società dei Drappieri” (1407, Bologna, Museo Civico Medievale), quando la sua presenza risulta già documentata a Bologna, dove rimane fino agli anni Cinquanta del Quattrocento, come testimonia la tempera con “San Bernardino da Siena e storie della sua vita” (1451, Bologna, Pinacoteca Nazionale).
L'attività di Giovanni è indagata inoltre nel dialogo fecondo con le novità emergenti all'interno del cantiere di San Petronio, dove l'opera di scultori forestieri (Alberto da Campione, Jacopo della Quercia) va esplorando sistemi di rappresentazione di spazio e forma alternativi rispetto alla proposta fiorentina della scienza prospettica.
Nella Basilica di San Petronio sarà possibile visitare - seguendo un percorso appositamente predisposto - le Cappelle Bolognini, dei Dieci di Balia, di Santa Brigida, della Società dei Notai e della Pace, i cui affreschi sono stati per l'occasione valorizzati attraverso un nuovo sistema di illuminazione.
Gli affreschi della Cappella della Pace in particolare, opera di Giovanni da Modena, Francesco Lola ed anonimi bolognesi degli inizi del XV secolo, sono stati resi nuovamente visibili, dopo molti anni di oblio, grazie allo spostamento degli stalli.
Capolavoro assoluto della pittura tardogotica bolognese è la ben nota Cappella Bolognini (1411-12 ca.), opera di Giovanni da Modena, con “Il Giudizio universale”, “Storie dei Magi” e “Storie di San Petronio”. Si segnalano inoltre i grandi affreschi di significato allegorico nella Cappella dei Dieci di Balia (1420).
Già da queste sue prime apparizioni, il carattere cifrato e irrealistico delle figurazioni del pittore evoca gli episodi più sontuosi della cultura figurativa “internazionale” ed evidente è altresì la sua fedeltà alla tradizione bolognese di Vitale; se la sua immaginazione si accende di invenzioni fantasiose, pure è capace di improvvisi affondi naturalistici; se il lusso sfrenato degli episodi da lui narrati rinviano a una dimensione aristocratica, il tono del suo racconto, sempre umanamente partecipe, ne rivela altresì la radice fieramente popolare; se le sue composizioni accedono sovente a dimensioni assurdamente smisurate, la maestosa ricerca spaziale entro cui si collocano le sue figure anticipa il rinascimento colorato e prospettico di Paolo Uccello.
Per quasi quattro decenni, la figura di Giovanni da Modena domina il panorama della cultura artistica bolognese, contribuendo ad aggiornarla agli esiti del gotico internazionale, di cui seppe offrire una variante fortemente personalizzata che, per i suoi accenti di forte ed immediata espressività, si ricollega alla precedente tradizione locale. È quanto evidenziano le prime opere bolognesi, per lo più connesse all'importante cantiere di San Petronio, in grado di sollecitare nuove presenze in città di artisti forestieri, attirati anche dalla permanenza della corte del nuovo pontefice, eletto nel 1410.
Si tratta dell'antipapa Giovanni XXIII, al secolo Baldassarre Cossa, il quale fu Legato della città dal 1403. Un fatto che dovette certamente influire sulle vicende dell'arte locale, favorendo l'emergere di un'illustre committenza, desiderosa di possedere sontuosi codici miniati, un genere a cui lo stesso Giovanni da Modena si dedicò durante la propria carriera, come dimostrano alcuni esempi esposti in mostra.
La mostra, a cura dei Musei Civici d'Arte Antica, presenta una selezione di 40 opere, realizzate dal fotografo Antonio Cesari tra l'agosto e l'ottobre 2013, eseguite a luce naturale, con una macchina digitale, all'interno di alcune fra le testimonianze architettoniche più rilevanti dei palazzi e delle chiese di Bologna.
Le fotografie riproducono in particolare i soffitti e le volte di: Accademia di Belle Arti, Palazzo Zambeccari, Santuario della Madonna di San Luca, Palazzo Poggi, Chiesa di Santa Caterina di Strada Maggiore, Palazzo Sanguinetti già Aldini, Chiesa di San Paolo Maggiore, Biblioteca Salaborsa, Chiesa di San Giacomo Maggiore, Palazzo d’Accursio, Chiesa del SS Salvatore, Palazzo Ghisilardi, Basilica Collegiata dei Santi Bartolomeo e Gaetano, Chiesa di Santa Maria della Vita, Basilica di San Domenico, Basilica di Santa Maria dei Servi, Palazzo Magnani, Chiesa del Sacro Cuore, Palazzo Malvezzi De’ Medici, Palazzo Pepoli Campogrande, Chiesa di San Filippo Neri, Convento di San Giovanni in Monte, Palazzo Hercolani, Basilica di San Francesco, Chiesa di San Girolamo della Certosa, Palazzo Marescotti, Basilica di San Petronio, Chiesa dei SS Gregorio e Siro, Palazzo Bentivoglio, ex Convento degli Agostiniani (Conservatorio di Musica "G.B. Martini"), Chiesa di San Benedetto, Palazzo Isolani, Palazzo Bianconcini, Basilica di Santo Stefano.
Scrive Antonio Cesari, documentando questa sua esperienza:
«Questo lavoro nasce dopo un periodo di "inattività" fotografica finalizzata a produrre immagini su commissione. Trascorso questo tempo di semi ozio fotografico, ho ripreso alcune passeggiate nei posti e nei luoghi in cui avevo lavorato: chiese e palazzi storici di Bologna, la mia città, guardata ora con gli occhi attenti o curiosi del turista o di chi passeggia godendo di quello che la città stessa offre; una città riservata, non spettacolare, dove occorre cercare la bellezza, anche quella nascosta dietro facciate o portoni anneriti.
Spesso mi sono ritrovato in compagnia dei turisti nelle navate delle nostre chiese, con loro mi sono confuso e ho fotografato quello che stavano fotografando, sfuggendo temporaneamente all’occhio vigile del sagrestano e dei custodi».
Il metodo di lavoro utilizzato da Antonio Cesari è stato scandito in diversi momenti: per prima cosa ha utilizzato i più svariati appoggi per fissare la macchina (una "vecchia" digitale con un buon grandangolo) - scalini, panche, sedie, basi di pilastri e colonne; poi ha allineato macchina e soffitti utilizzando l’ordine geometrico delle panche, l’ortogonalità dei pavimenti e i gradini squadrati, «non quelli settecenteschi che hanno posto diversi problemi, come pure i pavimenti “seminati” e privi di geometrie ortogonali». (Antonio Cesari)
Dopodiché in maniera veloce, «sull’onda dell’emozione data dalla luce, dai colori, dalle forme», le fotografie sono state scattate con luce naturale e senza l’ausilio del cavalletto.
Come sostiene Cesari, «il lavoro del curioso o del “dilettante” ha, al contrario di quello professionale, scarsi limiti di tempo, di numero. È un abbandono a ciò che piace, che colpisce all’impronta, è una suggestione che porta a galla la nostra storia, le nostre conoscenze, pur modeste, che ci procurano emozione e gioia: non è necessario riconoscere autori o icone o datazioni esatte, poiché la bellezza o anche la semplice fotogenia del soggetto possono essere sufficienti.
La luce che cala dalla lanterna o dalle vetrate alte crea un ambiente plastico e bellissimo; la polvere mossa, a volte l’incenso, esaltano i raggi che attraversano tutto lo spazio, dalla volta al pavimento. Ambienti che sembrano angusti si dilatano nella luce: lo sguardo corre lungo le pareti, le colonne, i pilastri e si ferma lì, in alto».
La mostra è stata realizzata con il patrocinio dell'Ordine degli Architetti di Bologna e con il contributo di ICA SpA Packaging Machines e Coop.Costruzioni.
Come ogni anno i Musei Civici d’Arte Antica organizzano al Museo Davia Bargellini una mostra dedicata al presepe bolognese tradizionale, in collaborazione con il Centro Studi per la Cultura Popolare. Quest’anno l’esposizione presenta al pubblico un presepio di straordinaria importanza, in quanto è documentato come il più antico della diocesi di Bologna. Le sei statuine in terracotta policroma che lo compongono provengono da una chiesa parrocchiale della provincia: San Michele Arcangelo di Capugnano.
l pubblico viene offerta l’occasione di ammirare questo gruppo presepiale di notevole pregio artistico, databile alla metà del XVI secolo e stilisticamente confrontabile con esemplari di sculture rinascimentali presenti nella collezione del Museo Davia Bargellini e nelle chiese della città di Bologna.
Il presepio di Capugnano, recentemente restaurato e riportato al suo originario splendore, offre così la possibilità di ripercorrere la nascita e l’evoluzione di questo genere scultoreo, grazie anche a confronti fotografici e a pannelli didascalici. Il percorso espositivo continua con l’allestimento di alcuni presepi realizzati con statuette barocche conservate in museo, così da illustrarne l'evoluzione nelle varie tipologie e nello stile, sempre aggiornato - anche per oggetti di così piccole dimensioni - sui modelli della scultura di grande formato.
Quest'anno Artelibro Festival del Libro d’Arte compie dieci anni e si svolgerà dal 19 al 22 settembre 2013 con numerose attività anche ai Musei Civici d'Arte Antica. In particolare, il Museo Civico Medievale celebrerà la decima edizione con la mostra Incanti di Musica curata da Massimo Medica, Ilaria Negretti e Paolo Cova. L'esposizione presenterà una selezione di corali miniati, appartenenti alle collezioni del museo, che coprono un arco cronologico molto ampio (XIII- XVI secolo), e si collegheranno direttamente al tema di Arte Libro di quest'anno: MUSICA PER GLI OCCHI. Collezionismo all’Opera.
Infatti, oltre alla scelta specifica di presentare dei corali, libri concepiti e realizzati per il canto liturgico, provenienti dai più importanti conventi cittadini, l'idea rispecchia il tema musicale anche da un punto di vista iconografico, infatti sono state prescelte raffigurazioni di cori monastici o conventuali, o momenti salienti della storia sacra dove la musica ha un suo ruolo particolare.
Gli splendidi codici sono inoltre arricchiti da alcuni dei più importanti miniatori dell'arte medievale e moderna italiana: dal Maestro della Bibbia di Gerona a Neri da Rimini, da Niccolò di Giacomo a Sano di Pietro, fino ai più alti raggiungimenti della miniatura bolognese del Cinquecento.
COMUNE DI BOLOGNA
Settore Musei Civici di Bologna
via Don Minzoni 14
40121 Bologna