Museo Civico Medievale
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Museo Civico d'Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini
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Collezioni Comunali d'Arte
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Museo del Tessuto e della Tappezzeria "Vittorio Zironi"
Via di Casaglia, 3
40135 Bologna
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L’arrivo nelle sale del Lapidario del Museo Civico Medievale della preziosa Croce dipinta di Marco Zoppo, proveniente dal Museo di San Giuseppe dei Cappuccini di Bologna, è un’occasione importante per poter ammirare da vicino uno dei massimi capolavori dell’artista centese, difficilmente visibile per il pubblico dal suo appartato, consueto luogo di conservazione. Ben conosciuta agli studi, la Croce costituisce insieme al polittico della Chiesa di San Clemente al Collegio di Spagna una tappa significativa nell’attività bolognese dell’artista, dopo il suo ritorno da Padova e Venezia. Già dal 1453 troviamo Zoppo a Padova, dove compie l’alunnato presso la bottega di Squarcione, da cui recupera un gusto nutrito di archeologismi, appassionato dell’antico. Al rientro dai soggiorni padovano e veneziano, negli anni che vanno dal 1455 al 1463 circa, il pittore mette quindi mano a quella che, a buon diritto, può considerarsi una testimonianza fra le più alte del coevo panorama artistico bolognese.
L’originaria ubicazione della Croce non è nota, ma la raffinata qualità esecutiva lascia ipotizzare una commissione per un’importante chiesa cittadina: ancora di matrice tardogotica si rivela il laborioso impegno della carpenteria, mentre innovativi appaiono l’impianto, già contrassegnato dalla lucida razionalità spaziale di scuola toscana, e l’accentuazione patetica delle figure dolenti.
Nella Crocifissione, abbandonato l’artificioso classicismo archeologico di derivazione squarcionesca, l’artista si avvicina decisamente ai modelli che rimandano alla cultura pierfrancescana, da lui conosciuti sicuramente a Bologna, dove la presenza del grande maestro della civiltà prospettica è documentata dal famoso matematico Luca Pacioli all’interno De divina proportione.
Attraverso l’esposizione del Crocifisso zoppesco e di altre opere collegate a Bologna, i curatori della mostra, Massimo Medica e Donatella Biagi Maino, intendono approfondire questo particolare momento della tradizione artistica cittadina, presto apertasi, pur nel retaggio di certe consuetudini tardo gotiche, ai nuovi fatti della cultura centro-italiana, sollecitato dalla presenza stessa di Piero della Francesca a Bologna tra il 1452 e il 1453.
In mostra saranno quindi presenti numerosi dipinti su tavola, preziose miniature, tra cui un’importante opera di Cristoforo Canozzi da Lendinara (Adorazione del Bambino con San Bernardino e l’Eterno Benedicente, Modena, Banca Popolare dell’Emilia Romagna), del miniatore Bartolomeo del Tintore (Statuti del Comune del 1454, Bologna, Archivio di Stato; Statuti della Società dei Notai del 1459, Bologna, Archivio di Stato) e dell’Ignoto Pittore bolognese autore dei Santi Ludovico, Francesco, Bernardino e donatori (Bologna, Collezioni Comunali d’Arte) che documenteranno i primi riflessi di un linguaggio aggiornato su ardite soluzioni prospettiche e salde geometrie volumetriche.
L’invenzione adottata da Marco Zoppo nel suo Crocifisso sarà replicata di lì a poco nel polittico di San Clemente (Collegio di Spagna), opera che diverrà modello imprescindibile per gli altri artisti cittadini, tanto che l’amico Tommaso Garelli ne riproporrà le forme nello smembrato polittico del Museo di Santo Stefano a Bologna, di cui in mostra vengono esposti la Cimasa con Cristo in Pietà e quattro piccole tavolette raffiguranti i santi, a sottolineare il ruolo-chiave ricoperto dal maestro centese.
A distanza di pochi anni (2004) dal nuovo allestimento presso le Collezioni Comunali d’Arte (sale 19-20) di una sezione interamente dedicata al pittore, progettista e collezionista di origine bolognese Pelagio Palagi, viene inaugurata presso la Sala degli Stemmi una mostra che indaga e mette maggiormente a fuoco l’attività giovanile dell’artista. Ideata e curata da Annamaria Matteucci, Carla Bernardini, Antonella Mampieri, l’esposizione, inserita nella collana “Ospiti”, ruota intorno a due disegni finiti e acquarellati con prospettive, di collezione privata (Magnifico luogo di sepolcri con mausoleo, Magnifico luogo di sepolcri), che consentono una più approfondita comprensione del periodo iniziale dell’attività di Pelagio Palagi, svoltasi nella natia città di Bologna fino al 1806, anno in cui l’artista si trasferisce stabilmente a Roma. Palagi è una figura di rilievo nel panorama nazionale come collezionista, artista e come progettista al servizio della casa reale dei Savoia a Torino nei decenni centrali dell’Ottocento. La sua ingente collezione di dipinti, sculture e manufatti di varie epoche e provenienti dalle più svariate parti del mondo è parte integrante di diversi istituti civici, in particolare il Museo Archeologico, il Museo Civico Medievale, le Collezioni Comunali d’Arte, la Galleria d’Arte Moderna. Come scriveva il celebre pittore Francesco Hayez nel 1890 nelle proprie Memorie, nell’attività giovanile, svoltasi nella città di Bologna prima del trasferimento a Roma (1806) e successivamente a Milano e Torino, l’artista eccelleva soprattutto come prospettico, ma di quest’attività finora non sono state reperite testimonianze particolarmente significative. Le due prospettive intorno a cui ruota questa iniziativa e finora ignote agli studi, offrono un prezioso accrescimento di conoscenze sull’attività dell’artista, in particolare per la prima fase e l’attività di scenografo. Fra i ventinove pezzi esposti, dipinti e disegni, provengono da varie raccolte civiche e dal Gabinetto dei Disegni e delle Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna. Questa è la prima di una serie di iniziative espositive e didattiche che le Collezioni Comunali d’Arte si propongono di realizzare periodicamente, con la collaborazione dei maggiori esperti per esplorare ulteriormente la grande figura di Palagi artista e collezionista cui le città di Bologna e Torino dedicarono un’importante mostra fin dal 1976, seguita da quelle bolognesi sulla sua ricca raccolta grafica e bibliografica (L’Ombra di Core, 1988-89) e su Palagi pittore (1996), tenute rispettivamente alla Galleria d’Arte Moderna e al Museo Civico Archeologico, ambedue a cura di Claudio Poppi, attuale curatore del Museo Morandi.
Fra le molteplici attività culturali che i Musei Civici d'Arte Antica organizzano quest'anno, un ruolo di assoluta preminenza riveste una serie di iniziative espositive, che si svolgeranno al museo Davia Bargellini, a partire dal mese di novembre fino a giugno 2008. Si avvicenderanno tre mostre organizzate in collaborazione con scuole d'artigianato, che realizzeranno manufatti ispirati a oggetti di proprietà del museo. Una volta portata a termine la lavorazione, gli oggetti saranno esposti al pubblico all'interno di piccole mostre, dove un accurato e approfondito percorso didattico permetterà di seguire i diversi momenti della lavorazione, anche attraverso il recupero di materiali, tecniche e strumentazioni del passato, che consentirà di comprendere la complessità e l'unicità di quelle produzioni. Si vuole così recuperare l'idea progettuale sottesa alla proposta del fondatore del museo Davia Bargellini, Francesco Malaguzzi Valeri, che desiderava affidare all'esposizione museale la funzione di offrire agli artigiani modelli di qualità e gusto raffinato a cui ispirarsi nelle loro attività. Già dalla prima esposizione, A porte aperte. Uno sguardo sulla bottega del serraturiere, si potranno infatti ammirare alcuni notevoli manufatti, chiavi e serrature, eseguiti da un corso di serraturieri sotto l'abile guida del maestro Valentino Mazzoni, della Scuola di Artigianato Artistico del Centopievese, con sede a Cento. Per la realizzazione dei pezzi i serraturieri hanno preso spunto da alcune chiavi e serrature di cui il museo vanta una delle collezioni più cospicue e qualitativamente importanti della Regione. È questa infatti anche l'occasione per ripercorrere e valorizzare l'intera collezione museale di serrature e chiavi, attraverso l'illustrazione della storia di tali manufatti con l'ausilio di un supporto multimediale (DVD) e di pannelli che descrivono le diverse fasi di lavorazione. Nella mostra ideata e curata da Silvia Battistini, responsabile del Museo Davia Bargellini, sarà possibile ammirare tra l'altro una serratura da porta con lo scudetto a ruota, del sec. XVII di manifattura emiliana, una serratura a scatto da cassone del sec. XVII e una chiave del sec. XVI. A questo primo appuntamento faranno seguito nella stessa sede altre due esposizioni dedicate alla tradizione bolognese del ricamo bolognese Aemilia Ars e una alle targhe devozionali.
L’Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali, sede di Ravenna, NEREA, ENEA, in collaborazione con i Musei Civici d’Arte Antica di Bologna, organizzano da giovedì 18 ottobre fino a domenica 11 novembre 2007, la mostra La Lapide Duglioli – Yoav da Rieti: una ricostruzione virtuale.
Attraverso l’esposizione di un plastico in scala si intende riproporre lo studio e le tecnologie di rilievo tridimensionale effettuate sulle due lapidi funerarie di Rinaldo Duglioli - oggi murata nel portico di San Girolamo alla Certosa - e di Yoav da Rieti - conservata presso il Museo Civico Medievale - in origine unite.
Per mezzo di elaborazioni tridimensionali sono state riaccostate le due parti ricostituendone in modo virtuale l’integrità originaria.
Nel campo della conservazione dei beni culturali, si è andata affermando sempre più l'applicazione delle tecniche diagnostiche cosiddette non distruttive, in quanto non alterano o comportano il benché minimo prelievo di campione dall'oggetto indagato
L'indagine riguarda la costruzione di un modello virtuale dell'opera, dopo averne acquisito le parti con lo scanner laser 3D.
Dal modello matematico ottenuto, sarà ricavato un prototipo di materiale plastico, in scala, che riproduce fedelmente l'aspetto del manufatto, riproponendone in qualche misura la forma originaria.
Sono presentate inoltre le analisi effettuate sulla muratura contestuale la lapide Duglioli con l’utilizzo del Densitometro Compton - EcoSp, Enhanced Compton Spectrometry-, sviluppato in collaborazione con il dipartimento di Fisica dell’Università di Ferrara. Tale apparecchiatura è in grado di misurare la variazione della densità interna della materia muraria, in modo da rilevare eventuali infiltrazioni o distacchi.
Il 26 febbraio 1569 una bolla di Papa Pio V bandisce gli Ebrei dagli Stati Eclesiastici, ad eccezione di Roma e Ancona. A Bologna il cimitero ebraico di via Orfeo viene così assegnato alle vicine monache di San Pietro Martire, con facoltà di fare quel che ad esse fosse più piaciuto dei monumenti ivi trovati: ciò significò un’immediata demolizione e vendita dei pezzi.
Da subito, nel 1571, si ha la trasformazione in monumento cristiano del cippo di Yoav da Rieti da Rieti, usato da Rinaldo Duglioli in San Paolo in Monte, mentre altri grandi cippi lavorati (come Shabatai, Elchanan e Menachem Ventura), oggi conservati al Museo Civico Medievale, non sono mai stati reimpiegati.
Resecata nello spessore, la parte opposta (lapide funeraria di Rinaldo Duglioli) è ora inserita nella facciata della chiesa di San Girolamo della Certosa.
La mostra intende presentare una selezione di opere, veri capolavori dell'arte occidentale, appartenenti all'importante collezione di ceramiche del Museo Civico Medievale di Bologna, considerata una delle più prestigiose in Italia e in Europa.
È questa l’occasione per poter ammirare manufatti che solitamente non sono visibili al pubblico, poiché l’assenza di spazi che ne garantiscano una definitiva sistemazione obbliga da anni alla loro custodia nei depositi del museo.
Sei anni sono passati infatti dalla mostra “Trionfi per la tavola” Capolavori ceramici tra Rinascenza e Barocco dal Museo Civico Medioevale, nell’ambito di “Bologna Biennale Arte Antiquaria” organizzata con l’auspicio di raggiungere una rapida soluzione per il problema di fornire alla raccolta una collocazione adeguata all'interno del percorso espositivo permanente. L'intento temporaneamente disatteso, si rinnova ora nella progettazione di questa evento, da cui si attende il rilancio di più concreti propositi. Oltre a distinguersi per la grande qualità dei suoi capolavori, la raccolta assume rilevanza anche per le vicende collezionistiche che la riguardano: alla stregua di altre importanti collezioni pubbliche bolognesi, si origina nel progetto enciclopedico del marchese Ferdinando Cospi volto a reperire fra naturalia e artificalia un museo di mirabilia donato poi nel 1675 al Senato bolognese. Tra i pezzi cospiani figurano, tra gli altri, il Boccale con busto di donna del 1499 e la fiasca con la raffigurazione del Mito di Ciparisso. Già in precedenza si era comunque sviluppato a Bologna un interesse collezionistico per questo genere di oggetti, come documentano ad esempio i vasi “fittili aurati” del guardaroba bentivolesco di Ginevra Sforza, alcuni dei quali forse identificabili, secondo una tradizione ottocentesca, con pezzi del museo.Ulteriori incrementi si ebbero a seguito dell’apertura del grande museo settecentesco presso l’Istituto delle Scienze e l’Accademia Clementina voluto dal Generale Luigi Ferdinando Marsili che provvide ad incrementarne la consistenza attraverso la donazione delle proprie raccolte ed una intensa attività di mecenate.
Ugualmente significativa per la storia della nostra raccolta fu l’inaugurazione del Museo civico nel 1881, a seguito della quale pervennero al museo numerose donazioni tra cui vanno segnalate quella della famiglia Rusconi e soprattutto quella dei Pepoli nel 1919, comprendente, come ricorda un inventario recentemente reso noto, numerose delle ceramiche oggi al Medievale.
Attraverso dunque la scelta di alcuni pezzi, sarà possibile ripercorrere lo sviluppo della ceramica figurata, vale a dire “istoriata”, con soggetti tratti dalla mitologia antica, dalla storia sacra e dai repertori della cultura dell’emblema del Cinquecento, con un particolare sguardo rivolto ai maggiori centri di produzione italiana, Faenza, Urbino, Pesaro, Casteldurante, documentati da alcuni indiscussi capolavori, destinati in gran parte ab origine, ad un collezionismo illustre. Così è per le botteghe faentine, di cui la mostra espone, tra gli altri, oltre al già citato boccale del 1499, il suggestivo calamaio con i Quattro santi protettori di Bologna (fine sec. XV) e la nota coppa di Casa Pirota con la rara iconografia dell' Incoronazione di Carlo V.
La produzione urbinate è presente con alcuni piatti ascrivibili a Nicolò da Urbino, detto Pellipario (piatto con il Mito di Adone parte di un sevizio di Isabellla d’Este, piatto con la Presentazione della Vergine al tempio), di Francesco Xante Avelli, dei Fontana e dei Patanazzi.
Ugualmente significativa appare la presenza di opere provenienti dalle botteghe di Pesaro, di cui si segnala il bel piatto con Priamo che riceve Elena (1560 ca.), e di Casteldurante, da cui proviene il piatto da pompa con il Sacrificio di Marco Curzio (1551).
La mostra organizzata dal Museo Civico Medievale si articola in tre sezioni, principalmente dedicate alla cacciata della signoria dei Bentivoglio, avvenuta il 2 novembre 1506, ad opera di Papa Giulio II della Rovere. Attraverso una contestualizzazione storica rivolta alle figure dei principali protagonisti delle vicende famigliari bentivolesche viene attraversato il fertile clima artistico che andò diffondendosi a Bologna nella stagione del Rinascimento. Nella prima delle sezioni di cui si compone la mostra, incentrata sui Bentivoglio signori di Bologna, si entra nel vivo dell'argomento, poiché vengono a delinearsi, attraverso l'esposizione di pregevoli opere, alcune fra le più significative personalità attive nell'orbita della cultura artistica bentivolesca, Ercole de' Roberti, Francesco Francia, Amico Aspertini. Infatti, ai preziosi manufatti in avorio, legno e ceramica che evidenziano il raffinato gusto bentivolesco, si alternano arredi provenienti da dimore e ville appartenute ai Bentivoglio, come il cassone in legno intarsiato con paraste dorate attribuito alla bottega dei De Marchi di Crema; l'opera è giunta dalla domus jocunditatis, il castello dei Bentivoglio a Ponte Poledrano, la più celebre fra le delizie bentivolesche, costruita tra il 1475 e il 1480-81, che ospita tra l'altro il rinomato ciclo decorativo con le Storie del pane, eseguito nell'ambito della committenza di Giovanni II Bentivoglio. Di quest'ultimo è esposto un importante ritratto eseguito da Ercole de’ Roberti negli anni tra il 1485 e il 1486, sulla fine del suo secondo soggiorno bolognese, stilisticamente affine ad altre due opere realizzate in quel periodo per Bologna, la predella della pala dell'altare maggiore nella chiesa di San Giovanni in Monte, ora smembrata tra Dresda e Liverpool, e i perduti affreschi della cappella Garganelli in San Pietro, di cui non rimane che il celeberrimo frammento della Pinacoteca Nazionale, "così furente e acuminato nell'urlo solitario della Maddalena" (Emiliani). Giovanni II si staglia dal fondo scuro elegantemente abbigliato; nel suo volto un'espressione di orgoglio degna di un dominus: è infatti all’apice del suo potere politico e finanziario, figura autorevole per la capacità di mantenere la pace tra le diverse fazioni cittadine e di giungere al vertice dell'oligarchia senatoria, destreggiandosi abilmente fra i potenti, il papa, i Medici e gli Sforza. Il frammento di tavola con la Madonna annunciata di Francesco Francia è occasione per introdurre, dopo il ritorno di Ercole de' Roberti a Ferrara, il pittore privilegiato della cultura bentivolesca, alla quale riuscì a dare espressione attraverso un linguaggio colto e raffinato. Collocabile intorno al 1500, negli anni in cui dipinge l'Annunciazione e santi per la chiesa della Santissima Annunziata, l'opera rivela un linguaggio particolarmente asciutto, dove la figura della Vergine è colta nella sua essenzialità, come isolata nello spazio, assumendo un valore quasi iconico, in base ad una tendenza arcaizzante coltivata dall'artista alla ricerca di un'arte di più semplice e diretta comprensione.
Cronologicamente prossimo al frammento di Francia è anche il bel Ritratto virile (1504 ca.) ascritto ad Amico Aspertini, illustre esponente della cerchia di artisti e intellettuali gravitante attorno alla corte bentivolesca, di lì a breve all'opera negli affreschi della chiesa di Santa Cecilia. Gli anni che si riferiscono alle opere esposte preludono ad un deciso cambiamento di rotta nella politica di Giovanni II: di fronte alle continue pressioni esercitate da alcune famiglie aristocratiche bolognesi e dalla Chiesa, desiderosa di rimpadronirsi della città, il signore di Bologna reprime con durezza le istanze dei suoi oppositori, finendo per provocare l’intervento di papa Giulio II della Rovere, che alla testa delle truppe papali entra trionfalmente a Bologna. Questo particolare momento è in parte rievocato nella seconda sezione (La cacciata dei Bentivoglio) anche attraverso l'esposizione di armi e armature dell'epoca, appartenute in alcuni casi ad eminenti rappresentanti della famiglia Bentivoglio, come nel caso della daga a cinquedea con stemma Bentivoglio, di proprietà di Annibale Bentivoglio. L'odio rivolto verso Giovanni II, accumulato negli ultimi anni del suo potere, si riversa in modo tangibile anche contro quelli che ne erano stati i simboli: nel maggio del 1507 i bolognesi distruggono dalle fondamenta la sua sfarzosa domus, cancellando una delle più significative testimonianze della raffinata cultura cortese bentivolesca. Dalle cronache si apprende infatti che il sontuoso edificio, esteso nell'ampia superficie di un isolato su Strada San Donato, commissionato nel 1460 da Sante Bentivoglio all'allievo di Michelozzo, Pagno di Lapo Portigiani, e portato a termine da Giovanni II, diviene oggetto di una sistematica distruzione e di una accanita depredazione: dai giardini alle stanze interne, nulla viene risparmiato.
Nella terza ed ultima sezione della mostra, (La Domus aurea bentivolesca e la sua distruzione) vengono presentate alcune opere appartenute a Giovanni II e alla sua famiglia, rinvenute nell’area del "guasto" della domus: a richiamare la vita di corte ed i suoi squisiti rituali sono esposti i due rilevanti vasi biansati di scuola spagnola (Malaga, fine sec. XV), il pettine in avorio ed il frammento di affresco con due figure maschili, riferibile a Francesco Francia intorno al 1500, unica testimonianza dell'impresa compiuta dall'aurifex bolognese nella parete della stanza privata di Giovanni II.
Da oggi il patrimonio delle Collezioni Comunali d’Arte è arricchito da tre nuovi dipinti di Gaetano Gandolfi, da uno del suo ambito e da due di Giovanni Antonio Burrini, grazie all'importante e generosa donazione del Notaio Tristano Giorgio Agostini. Le opere sono esposte da oggi nella sala Urbana delle Collezioni Comunali d'Arte fino al prossimo mese di settembre, poi saranno allestite permanentemente nell'ala "Rusconi" delle Collezioni Comunali d’Arte (sala XIV). L'esposizione è accompagnata dal volume Gaetano Gandolfi e Giovanni Antonio Burrini. La donazione di Tristano Giorgio Agostini alle Collezioni Comunali d'Arte di Bologna, con scritti di Carla Bernardini, Milena Naldi, Eugenio Riccòmini. Con questa donazione entrano a far parte del percorso espositivo l'Autoritratto all'età di anni ventinove, il Ritratto della moglie all'età di anni venti, una Sacra Famiglia o Riposo nella Fuga in Egitto di Gaetano Gandolfi, e del suo ambito un Ritratto di giovane donna, di cui l’originale autografo dell’artista è esposto presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna. Giovanni Antonio Burrini, fino ad oggi una vistosa assenza presso le Collezioni Comunali d'Arte, è felicemente rappresentato nel museo con due opere altamente significative della sua attività pittorica (Busto di paggetto, Fanciulla con gioielli). In Palazzo Pubblico all'artista si deve la decorazione dell'antica Galleria degli Anziani. Con questa nuova, importante acquisizione, si ricompone un nucleo assai considerevole di opere dei tre Gandolfi - Ubaldo, Gaetano e Mauro – nella galleria istituita nel 1936 al secondo piano del palazzo Comunale nelle sale che già furono la residenza dei Cardinali Legati e in una delle quali, durante la dominazione francese, Mauro Gandolfi dipinse la Glorificazione della Repubblica Cispadana. Il richiamo alla cultura figurativa del Settecento e al collezionismo privato sono due principali radici del Museo, la cui creazione nasce da una grande rassegna sull'arte del Settecento bolognese (1935) e il cui nucleo fondante è la serie dei diciotto dipinti di Donato Creti donati al Senato cittadino nel 1744 da Marcantonio Collina Sbaraglia.
COMUNE DI BOLOGNA
Settore Musei Civici di Bologna
via Don Minzoni 14
40121 Bologna