Museo Civico Medievale
Via Manzoni, 4
40121 Bologna
tel. 051 2193930 - 2193916
fax 051 232312
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Museo Civico d'Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini
Strada Maggiore, 44
40125 Bologna
tel. 051 236708
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Collezioni Comunali d'Arte
Piazza Maggiore, 6
40121 Bologna
tel. 051 2193998
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Museo del Tessuto e della Tappezzeria "Vittorio Zironi"
Via di Casaglia, 3
40135 Bologna
tel. 051 2194528 - 2193916
fax 051 232312
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Curata da Marzia Faietti e Massimo Medica, promossa nell'ambito delle Celebrazioni petroniane da Musei Civici d'Arte Antica-Assessorato e Settore Cultura del Comune di Bologna, Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico e Demoetnoantropologico di Bologna, Basilica di San Petronio con il contributo della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e la collaborazione tecnica di Borghi International, Epoca Insurance, Honeywell Dating, Agenzia Viaggi I Portici- Divisione gruppi arte&cultura.
Sull'onda del crescente interesse rivolto alle espressioni dell'arte europea La mostra presenta ventiquattro progetti per il completamento della facciata della basilica di San Petronio in Bologna elaborati tra il XVI e il XVIII secolo da artisti di grande fama, di proprietà del Museo di San Petronio e recentemente restaurati dalla Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico e Demoetnoantropologico di Bologna. Le complesse vicende della Basilica di San Petronio attraversano sei secoli di storia non solo locale. Fondata nel 1390 dal Comune guelfo per celebrare la libertà comunale, come tempio civico dedicato al culto del patrono, la basilica divenne lo scenario, specie nei secoli in cui Bologna emerse come la seconda città per importanza dello Stato pontificio, di eventi storici come l'incoronazione dell'imperatore Carlo V nel 1530. L'edificio, rimasto incompiuto, è stato oggetto di ripetute proposte di completamento. Il cantiere, protrattosi per diversi secoli, venne infatti condizionato dalle difficoltà economiche e dai contrasti sullo stile da conferire all'edificio sorti all'interno della Fabbriceria, l'organo preposto alla gestione dei lavori, spesso influenzato anche dalle diverse ambizioni del governo cittadino e del potere pontificio. Contraddizioni che ostacolarono soprattutto il completamento della facciata, che doveva costituire il segno indelebile della presenza dell'edificio sulla piazza Maggiore, dove si affacciavano i palazzi rappresentativi dei poteri cittadini, laici e religiosi. Il progetto originario di Antonio di Vincenzo, che prevedeva un fronte a fasce bianche e rosse, era stato infatti realizzato solo parzialmente nell'attuale parte inferiore, poi arricchita nel portale centrale dagli splendidi rilievi biblici (1425) di Jacopo della Quercia. Ed anche la successiva ripresa dei lavori, avviata secondo il progetto (1514) dell'architetto Arduino Arriguzzi-teso a fare di S.Petronio la maggiore basilica del mondo, più grande addirittura della romana S. Pietro-venne bloccata da papa Pio V con la realizzazione dell'edificio dell'Archiginnasio lungo il fianco occidentale della chiesa. La sfida di portare a compimento la grande fabbrica bolognese venne in seguito raccolta a più riprese da una nutrita schiera di grandi artisti, non solo bolognesi-tra i quali Domenico Aimo, Alberto Alberti, Giacomo Barozzi detto il Vignola, Egidio Maria Bordoni, Andrea da Formigine, Cristoforo Lombardo, Francesco Morandi detto il Terribilia, Andrea Palladio, Baldassarre Peruzzi, Ercole Procaccini, Girolamo Rainaldi, Giacomo Ranuzzi, Giulio Romano, Mauro Antonio Tesi, Domenico Tibaldi- che elaborarono i progetti oggi in mostra, senza peraltro vederli mai realizzati. Ed anche le proposte di completamento avanzate nel corso dell'Otto e Novecento (che esulano dall'ambito di questa esposizione) non giunsero a compimento, confermando il carattere di cantiere senza fine della "basilica incompiuta".
In mostra verranno presentati, accanto ad una selezione dei disegni-dalle proposte tardogotiche a quelle tardobarocche-- che grazie al restauro sono oggi restituiti alla piena leggibilità ed al confronto, anche il modello in legno del progetto di Arduino Arriguzzi, insieme a ritratti dei grandi committenti, dipinti, medaglie e documenti sul celebre edificio. L'esposizione è curata da Marzia Faietti e Massimo Medica, con l'apporto di un ampio comitato scientifico comprendente Jadranka Bentini, Sergio Bettini, Howard Burns, Marzia Faietti, Mario Fanti, Deanna Lenzi, Massimo Medica, Maurizio Ricci, Eugenio Riccòmini, Augusto Roca de Amicis, Richard J. Tuttle, Elisabetta Vasumi Roveri,Vitale Zanchettin.
Diciassettesimo appuntamento della rassegna "Ospiti" organizzata dai Musei Civici d'Arte Antica di Bologna con un rilievo in terracotta di Giuseppe Maria Mazza raffigurante Diana e Endimione, proveniente da una collezione privata di Bologna. Allievo di Canuti e Pasinelli, Giuseppe Maria Mazza (Bologna, 1653-1741) affermò il proprio assoluto e lunghissimo predominio come scultore sulla scena bolognese dell'ultimo barocchetto grazie alle numerose realizzazioni a stucco di soggetto religioso - angeli, madonne e profeti-- per case private e chiese cittadine, tra le quali si ricordano le grandi scene per la Cappella Manzoli in San Giacomo Maggiore, il policromo Compianto di Cristo per Santa Maria Maddalena di strada San Donato e soprattutto le figurazioni nella chiesa del Corpus Domini, in collaborazione con Franceschini. Un successo che gli aprì la strada anche a importanti commesse esterne, come i bozzetti del grande Presepe per i monaci di San Clemente e delle Storie di San Domenico per San Zanipolo a Venezia, poi fusi in bronzo; o i tardi colossali Evangelisti per San Domenico a Modena. Assai più rara è la produzione dell'artista di soggetti profani e mitologici (come i busti realizzati per il principe Liechtenstein e le quattro statue nel salone bibbienesco di casa Ranuzzi a Bologna), di cui il rilievo con Diana e Endimione è uno dei pochi esempi rimasti in città.
L' opera, tuttora inedita, rappresenta uno dei più affascinanti miti della mitologia classica: Endimione, giovane e bellissimo pastore della Caria, giace per sempre addormentato per volere di Diana, che ogni notte viene a contemplare le sue forme perfette, destinate a non subire mai l'oltraggio dello scorrere del tempo e della vecchiaia. Il mito, narrato da Luciano di Samosata nei suoi Dialoghi degli dèi e largamente diffuso in età rinascimentale a seguito della pubblicazione nel 1502 dell'intera opera dello scrittore greco a cura di Aldo Manuzio, aveva conosciuto al tempo di Mazza un rinnovato successo grazie al poemetto su Endimione di Alessandro Guidi, poeta di corte di Cristina di Svezia.
Evidente è l'affinità del rilievo con la pittura bolognese di quegli anni, che aveva ripreso con frequenza le storie di Diana, in particolare con Del Sole, Franceschini, Viani e Burrini, pittori legati a Mazza da rapporti di colleganza e d'amicizia, un' affinità naturale in una città di insigni tradizioni pittoriche, ma che non aveva mai brillato nella scultura. Il modello di Dal Sole sembra riemergere in particolare nell' equilibrio e nella simmetria dell'opera, che sembra più dipinta che scolpita, la cui alta qualità risiede soprattutto nella estrema delicatezza del modellato, nei quasi insensibili trapassi tra luce ed ombra, negli appena sfiorati accenni di paesaggio.
La fortuna critica dell' artista, rimasta in ombra per diversi secoli dopo la sua morte, conobbe agli inizi degli anni '60 del Novecento una forte rivalutazione grazie alla riscoperta della scuola pittorica bolognese, in particolare con la pionieristica mostra sulla scultura bolognese del Settecento patrocinata dall'Associazione Francesco Francia del 1965, e con il volume "Ordine e vaghezza" sulla scultura in Emilia nell'età barocca curato da Eugenio Riccòmini. Una riscoperta che ha portato anche ad una dispersione sul mercato antiquario delle sue opere, di cui solo pochi esemplari sono oggi presenti nelle pubbliche raccolte bolognesi, presso il Museo Davia Bargellini (che ospita anche un ritratto dell'artista eseguito da Burrini) e la Pinacoteca Nazionale. L'eccezionale presentazione di questa opera costituisce quindi uno stimolo ed un invito al recupero delle opere di questo insigne artista bolognese.
Decimo appuntamento della rassegna Incontri&arrivi con tre opere recentemente acquisite dai Musei Civici d'Arte Antica: il S. Giovanni Battista di Jacopo di Paolo (deposito da collezione privata); una Placca in terracotta raffigurante San Filippo Neri di Angelo Gabriello Piò (acquisizione); ed un Progetto per una cornice con cammeo raffigurante la musa Erato di Carlo Bianconi (dono del Centro commerciale Vialarga). La rara tavola di Jacopo di Paolo (pittore e miniaturista bolognese documentato dal 1378 al 1426) con S. Giovanni Battista faceva parte in origine di un polittico andato smembrato, comprendente diverse figure di Santi che circondavano probabilmente una Madonna col Bambino in trono o una Incoronazione della Vergine non ancora identificata. Si tratta di una testimonianza della prima attività del pittore, fortemente connotata da un accento neogiottesco (come confermano gli affreschi a lui attribuiti con le storie di Mosè della chiesa di Mezzaratta), che si riflette nella salda plasticità e nell'intensa espressività dell'immagine del Battista, ed anticipatrice del tocco icastico e grottesco che caratterizzerà la sua opera più tarda. Un'acquisizione che integra in maniera significativa l'importante gruppo di tavole gotiche conservate al Museo Davia Bargellini (comprendente fra l'altro uno dei capolavori di Vitale da Bologna, la Madonna dei Denti) finora privo di testimonianze di questo indiscusso protagonista della cultura bolognese; e che si aggiunge alle altre due opere dell'artista che già si conservano presso le Collezioni Comunali d'Arte, raffiguranti rispettivamente un'Annunciazione commissionata nel 1386 da Jacopo Bianchetti per la Camera degli Atti e una grande croce dipinta.
L'aggraziato rilievo in terracotta raffigurante San Filippo Neri rappresenta, secondo un'iconografia ricorrente, il santo in estasi davanti all'altare accompagnato da un angelo. L'opera può essere attribuita con sicurezza ad Angelo Gabriello Piò (Bologna, 1690-1770), protagonista della plastica bolognese di gusto barocchetto, per l'elegante positura ed il profilo dell'angelo, che ricalca quello delle tante figure allegoriche modellate dall'artista attorno agli anni Trenta e Quaranta del Settecento negli scaloni dei palazzi ed in parecchie chiese di Bologna, ed in particolare la coppia di angeli nell'Oratorio di San Filippo Neri (1733).
L'opera, che è intatta, di bella conservazione anche nella patina, colma una lacuna delle raccolte del Davia Bargellini, che finora possedevano dell'artista solamente una coppia di figurine da presepio e nessun bassorilievo, genere nel quale l'artista eccelleva.
Il Progetto per una cornice con cammeo raffigurante la musa Erato per la volta della galleria "all'antica" di palazzo Malvezzi a Bologna rappresenta una precoce testimonianza dell'attività di Carlo Bianconi (Bologna 1732 - Milano 1802) nel campo della decorazione a stucco.
Nel panorama bolognese del secondo Settecento, ancora dominato dal gusto dell'ultimo barocchetto, l'opera di Bianconi - dominata da una visione enciclopedica dell'operare artistico tesa a integrare scultura, architettura ed ornato nel contesto di un lessico neoclassico colto ed aggiornato - ebbe esiti dirompenti e di difficile assimilazione. Dissensi e polemiche accompagnarono in particolare le sue "gallerie all'antica" per i palazzi senatorî bolognesi Malvezzi e de' Bianchi, realizzate a stucco da plasticatori della sua scuola sulla base di un progetto di cui l'artista controllava architettura, progetto decorativo, scelta iconografica dei soggetti. Questo modo nuovo di far decorazione metteva infatti in discussione la rigorosa gerarchia tra le arti, ribaltando ruoli e competenze acquisite, e sembrava insidiare il predominio della pittura a fresco a favore dello stucco, ritenuto più legato alla sfera artigianale.
Nel Progetto a penna raffigurante la musa della poesia amorosa -databile ai primi anni Sessanta del secolo--emerge tutta l'eterea eleganza del cammeo neoclassico: in una cornice che riproduce ancora qualche esuberanza di pieno Settecento, l'esile figura di Erato si staglia accanto ad un'ara con citazioni classiche quali i due vasi "all'antica", la cornucopia, il festone, i piccoli mascheroni, le tuniche leggere che ornano le figure ai lati. Il disegno oggi acquisito dai Musei per le Collezioni Comunali d'Arte si affiancherà al progetto preparatorio elaborato da Bianconi per la "memoria" dell'amico pittore Mauro Tesi nella basilica di San Petronio del 1766, e recentemente entrato a far parte delle stesse raccolte.
Con questi nuovi "arrivi" i Musei Civici d'Arte Antica confermano l'impegno nell'acquisizione di importanti opere bolognesi, teso a documentare la storia artistica e culturale della città nei secoli.
Si tratta di un'esposizione nella stanza paese (16) dei lavori degli studenti della scuola media Panzini Zappa (tecniche miste), ispirati ad alcuni particolari degli affreschi.
Successivamente presso il Museo si sono tenute delle prove di disegno dal vero, realizzando locandine dai disegni (under 14).
In varie sale del Museo (4, 18, 19) e in Sala Farnese a fianco delle opere selezionate, definite in collaborazione con la scuola, esposizione dei lavori degli studenti del Liceo Artistico Arcangeli (tecniche miste): le produzioni sono ispirate a una scelta di opere del museo in chiave realistica o di rivisitazione contemporanea.
Nell'ambito del progetto elaborato in collaborazione con il Liceo Didattica al museo, sui temi del ritratto e della quadratura; con sedute di disegno dal vero in museo; prodotto un CD.
L'esperienza vale come credito formativo per la maturità artistica; con locandine prodotte dai ragazzi del liceo (under e over 18).
La mostra è stata promossa dalla Società Bolognese per la Musica Antica e dalla Società Italiana del Flauto Traverso Storico in collaborazione con Musei Civici d'Arte Antica-Settore Cultura del Comune di Bologna nell'ambito del progetto "Gli strumenti della musica antica" sotto l'egida e con il contributo del Comitato per Bologna 2000 Città europea della Cultura con il supporto di INAAssitalia-Agenzia Generale di Bologna.
La mostra Strumenti a fiato in legno dalle collezioni private italiane presenta per la prima volta circa duecento strumenti a fiato provenienti da ventisei collezioni private italiane, a cui si affiancano alcuni pezzi della preziosa raccolta del Museo Civico Medievale. Gli strumenti, appartenenti alla categoria dei legni d'orchestra (flauti traversi, oboi, clarinetti e fagotti) e degli strumenti affini (flauti dolci, flagioletti, cucù, pifferi) sono tutti riferibili alla musica colta e databili tra la fine del Sei e gli inizi del Novecento. Tra i pezzi di maggior pregio sono presenti flauti dolci e flagioletti in avorio del Seicento insieme a flauti traversi d'avorio del Settecento; rare varietà di flauti dolci dell'Ottocento, oboi unici del periodo classico e fagotti di fattura viennese e francese tra Sette e Ottocento.
La mostra --a cura di Gianni Lazzari, docente di flauto e Presidente della Società Italiana del Flauto Traverso Storico-- si propone innanzitutto di presentare al grande pubblico ed agli studiosi un prezioso patrimonio storico, che si affianca a quello delle Accademie rinascimentali e delle istituzioni private di formazione ottocentesca e che risulta ancora in gran parte sconosciuto. Se già da tempo in Italia si riscontra infatti un rinnovato interesse per gli strumenti musicali delle collezioni pubbliche e semiprivate (che ha prodotto anche l'edizione di nuovi cataloghi, come quelli del Museo Nazionale degli Strumenti Musicali a Roma, del Museo del Castello Sforzesco a Milano, della raccolta dello stesso Museo Civico Medievale a Bologna), non altrettanta attenzione è stata finora riservata al collezionismo privato dei fiati, e dei legni in particolare. L'iniziativa si propone inoltre una funzione storico-didattica rivolta in particolare ai giovani studenti di musica, mirando a diffondere la conoscenza della storia più recente dei legni d'orchestra e la grande varietà di forme, taglie, varianti sonore e meccaniche, invenzioni e brevetti che li caratterizzava fino a un passato recente, in contrasto con l'altissimo grado di standardizzazione degli strumenti odierni. I legni d'orchestra hanno infatti in larga parte una storia comune, fatta di influenze reciproche nelle invenzioni costruttive, ma anche di scuole esecutive regionali e nazionali differenziate che gli strumenti rivelano nei particolari delle loro forme e imboccature.
L'esposizione è realizzata nell'ambito del progetto "Gli strumenti della musica antica" che intende raccontare la storia completa del flauto traverso nella musica colta occidentale, e che prevede in contemporanea
Le immagini del flauto. Mostra documentaria e iconografica sul flauto traverso dal medioevo al barocco, allestita presso il Chiostro del Conservatorio "G.B Martini" di Bologna (piazza Rossini 2) dal 19 maggio al 1 giugno. Un allestimento itinerante- prodotto nel 1992 in occasione di una serie di concerti e di seminari sul flauto -comprendente riproduzioni di dipinti, stampe e altri immagini storiche che, assieme a documenti scritti espunti da trattati e manuali sul flauto, tracciano la storia più antica di questo strumento, a partire dal Medioevo fino ai flauti del periodo barocco, gli immediati antecedenti dei flauti originali esposti al Museo Civico Medievale.
Sotto l'alto patronato del Presidente della Repubblica italiana organizzata dai Musei Civici d'Arte antica e promossa da Musei Civici d'Arte Antica e settore Cultura Comune di Bologna, Soprintendenza per i Beni Librari e Documentari - ibc Regione Emilia-Romagna, Soprintendenza ai Beni Storici e Artistici di Bologna, Associazione Dimore Storiche - sezione Emilia Romagna, Comitato Amici dell'Aemilia Ars e famiglia Cavazza con la collaborazione di Associazione Commercianti di Bologna, nell'ambito delle iniziative per Bologna Città Europea della Cultura del 2000 e per la terza Settimana della Cultura con il contributo di Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, Carisbo, Gnudi Trasporti Speciali Opere d'Arte e Assicurazioni Generali s.p.a.-Agenzia generale di Bologna e la sponsorizzazione tecnica di atc e il Resto del Carlino.
Sull'onda del crescente interesse rivolto alle espressioni dell'arte europea tra Otto e Novecento --Liberty, Art Nouveau e Jugendstil in primo piano-- che ha ricevuto significativa conferma con le recenti esposizioni londinese e parigina, un capitolo di grande fascino ed ancora poco noto al grande pubblico della vicenda artistica e culturale italiana viene finalmente presentato all'attenzione di pubblico e studiosi con la mostra Aemilia Ars: 1898-1903. Arts&Crafts a Bologna. La mostra presenta per la prima volta --a venti anni dalle pionieristiche ricognizioni critiche sviluppate dalle mostre sul liberty a Bologna e su Alfonso Rubbiani -- un'ampia panoramica della produzione dell'Aemilia Ars "società protettrice di arti e industrie decorative nella regione emiliana", fondata nel 1898 a Bologna da un gruppo di nobili e artisti raccolti intorno all'architetto-restauratore Alfonso Rubbiani ed al conte Francesco Cavazza. Attiva fino al 1903, la società, che si proponeva la promozione produttiva e commerciale e la riqualificazione estetica delle arti decorative e degli oggetti d'uso per la vita quotidiana, rappresentò la peculiare espressione italiana di una tendenza diffusa in tutta Europa, esemplificata in particolare dal movimento inglese Arts and Crafts. Con la fondazione dell'Aemilia Ars, trovarono infatti espressione istanze complesse ed a volte contraddittorie della società postunitaria, nella cruciale fase di transizione dello sviluppo capitalistico italiano verso una compiuta industrializzazione. Da un lato, la società tradusse nella sua attività quelle esigenze di promozione industriale, commerciale e culturale stimolate dal progresso tecnico e scientifico, coniugate alla ricerca delle radici storiche del nuovo stato unitario nelle sue diverse espressioni locali, che a Bologna avevano trovato voce nell'esposizione e nelle celebrazioni per l'VIII centenario dell'Università del 1888 - ma anche nell'approvazione del primo piano regolatore cittadino del 1889, all'origine dell'abbattimento, tanto deprecato da Rubbiani, dei quartieri medievali e della cerchia delle mura in nome dello sviluppo urbano e produttivo. Dall'altro, i suoi promotori intendevano rispondere al disagio indotto in una società ancora fortemente connotata in senso agricolo e artigianale dall'introduzione di nuovi materiali e processi industriali, con il richiamo ai valori estetici e morali del passato ed alla valorizzazione del lavoro manuale dell'artigiano, contrapposto alla produzione industriale. La mostra si propone di fondere le esigenze della divulgazione con quelle della ricerca e della conservazione su un tema ancora da indagare e valorizzare appieno. Circa duecento le opere esposte, tra oggetti, materiali grafici e fotografie storiche, in un allestimento fortemente suggestivo: in primo piano, una selezione del ricco campionario di pizzi e merletti Aemilia Ars conservato presso le Collezioni Comunali d'Arte e del cospicuo fondo di disegni del Museo Davia Bargellini di Bologna, accanto a mobili ed ebanisterie, oggetti in ferro battuto, cuoio bulinato, gioielli, biancheria ed accessori per l'abbigliamento prodotti dalla società, ed a dipinti, libri e modelli incisori dei secoli XVI-XVII. Per il grande pubblico, si tratta di un suggestivo invito a scoprire alcuni dei nascosti tesori cittadini; per studiosi ed esperti un contributo e uno stimolo alla classificazione, al recupero e alla conservazione di un patrimonio cittadino poco conosciuto, la cui memoria è affidata-- oltre che ai patrimoni posseduti dai privati-- a fondi quasi dimenticati di istituti museali, dei conservatori femminili e delle scuole professionali.
La mostra è stata organizzata dall'Associazione Italiana per la spada giapponese- Itaria Nihon Token Kyokai- Intk e Musei Civici d'Arte Antica di Bologna nel quadro del progetto Fikta 2000 promosso dalla Fikta Federazione Italiana Karatè Tradizionale e.d.a. nell'ambito delle manifestazioni per Bologna Città Europea della Cultura nel 2000 con la collaborazione di Comune di Bologna, Provincia di Bologna, Regione Emilia-Romagna, Università degli Studi di Bologna e con il patrocinio dell'Istituto Giapponese di Cultura-The Japan Foundation e del Consolato Generale del Giappone con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna e di Canon Italia.
La mostra presenta una serie di splendidi oggetti legati all’arte della spada giapponese, tra i quali 60 spade, 100 fornimenti (tra i quali tsuba, koshirae, kozuka), quattro armature ed elmi, una ventina tra stampe e kakemono in tema, provenienti da collezioni private e dalle raccolte del Museo Medievale e del Museo del Risorgimento di Bologna.
Da più di mille anni, la spada giapponese rappresenta uno dei massimi risultati artistici e tecnologici della lavorazione manuale dell'acciaio.
La sua valenza artistica (inscindibile per altro da quella di efficacissima lama) fece sì che solo le classi più abbienti, dai bushi e samurai ai più ricchi mercanti, potessero esserne i committenti (persino l'imperatore Gotoba, nel XII sec., volle, con successo, cimentarsi in questa arte raffinata), anche se parallelamente emerse una produzione di massa specialmente nei periodi più turbolenti di guerre, ove la qualità passava necessariamente in secondo piano. Le diverse tecniche di guerra e di duello nel corso dei secoli influenzarono forma, dimensioni e misure delle lame giapponesi.
Ogni spada è irripetibile nella sua unicità, per quanto modesta o aulica ne sia stata la concezione, sì da poterne individuare l'epoca, la scuola, l'autore, con un attento esame delle sole caratteristiche esteriori: la firma dell'artista, bulinata sul codolo della lama, spesso è assente in quanto l'opera d'arte è chiara è sufficiente firma a se stessa.
COMUNE DI BOLOGNA
Settore Musei Civici di Bologna
via Don Minzoni 14
40121 Bologna